1. Dopo lo sgombero, decine le persone in strada
Tra le 7.30 e le 10 di mattina del 13 novembre a Roma, è andato in scena l’ennesimo sgombero del presidio Baobab – il ventiduesimo da quando i volontari sono stati allontanati nel 2015 da Via Cupa. L’assenza di un piano di accoglienza (come vi raccontavamo in questo articolo) e misure “contro il decoro” che finiscono per colpire soprattutto chi vive per strada, hanno reso il Baobab il rifugio per centinaia di persone. Non solo migranti, ma anche italiani senza dimora come ci ricorda Annalisa Camilli su Internazionale.
L’ordine di sgombero, nell’aria da settimane, alla fine si è palesato nelle ruspe e nei blindati delle forze dell’ordine, che hanno iniziato le operazioni di identificazione e portato in questura circa 120 persone.
Così mentre il ministro degli Interni commentava l’operazione con toni trionfalistici: “Zone franche, senza Stato e legalità, non sono più tollerate. L’avevamo promesso, lo stiamo facendo. E non è finita qui. Dalle parole ai fatti”, iniziava la guerra di numeri tra comune e volontari.
“Su 180 persone registrate dalla Sala operativa sociale solo 125 sono state collocate nei centri di prima accoglienza, 75 non hanno ricevuto alternative a quanto sappiamo noi non ci sono più posti”, spiega Giovanna Cavallo, del team legale di Baobab Experience nell’affollata conferenza stampa indetta a due giorni dallo sgombero.
Senza riparo, gli uomini e le donne rimasti fuori dal circuito dell’accoglienza hanno finito per passare la notte in strada.
+++IL PRESIDIO È CIRCONDATO DA BLINDATI. HANNO CHIUSO I CANCELLI E NON CONSENTONO A NESSUNO DI ENTRARE NÉ USCIRE. +++ pic.twitter.com/vEykuX7Ni3
— Baobab Experience (@BaobabExp) November 13, 2018
2. Smantellamento rete Sprar: le preoccupazione dell’Anci
Oltre mille e ottocento comuni coinvolti, trentasettemila migranti accolti, più di duemila famiglie ospitate e quattromila e cinquecento minori stranieri presi in carico. Questi i numeri di un anno di accoglienza raccontati dall’Atlante Sprar, presentato giovedì scorso a Roma.
Il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati gestito dai Comuni è visto dai più come l’unico sistema pubblico di accoglienza che funziona, ma rischia di essere cancellato dal decreto sicurezza voluto da Salvini che punta con forza invece sui centri di accoglienza straordinaria.
“Tutto quello che di buono si è fatto in questi anni con il sistema Sprar, i risultati positivi ottenuti, anche sotto l’aspetto della sicurezza, rischiano di essere cancellati dal Dl sicurezza-immigrazione voluto dal governo e non saremo noi ad assumercene la responsabilità come sindaci davanti ai cittadini” ha dichiarato a margine della presentazione Matteo Giffoni, sindaco di Prato e delegato Anci all’immigrazione
La speranza per l’Anci – Associazione nazionale comuni d’Italia – è che almeno parte degli emendamenti respinti a Palazzo Madama, come quelli che puntano a consentire l’ingresso nelle strutture Sprar a persone con disabilità e con situazioni di vulnerabilità, possano questa volta essere accolti.
L’accoglienza, soprattutto nei piccoli paesi, è riuscita a generare sviluppo per le località (in quest’articolo l’esempio del consorzio territoriale “Sale della Terra” nel beneventano) ma ha anche prodotto più integrazione. Corsi di lingua, corsi di formazione tirocini formativi: oltre 9000 persone, il 70% di quelle uscite dallo Sprar l’anno scorso, hanno terminato il percorso di accoglienza avendo acquisito gli strumenti per una propria autonomia.
3. Il Csm boccia il Dl Salvini
Il decreto immigrazione e sicurezza rischia di essere ricordato per l’aumento degli effetti che vorrebbe combattere. Più dinieghi della protezione umanitaria ad esempio si tradurranno in una crescita degli immigrati irregolari. Secondo Matteo Villa, ricercatore dell’Ispi, entro il 2020 in Italia questi saranno 60 mila in più, con i conseguenti strascichi in termini di sicurezza, sia reale che percepita.
Esplicativa a tal proposito la storia di Issahaka, rifugiato dal Ciad in Italia da 10 anni, con regolare permesso, una casa e un’attività in proprio. Una storia di integrazione che, come racconta Redattore Sociale, rischia di essere cancellata dalle recenti modifiche al Dl immigrazione.
Intanto una forte bocciatura al provvedimento è arrivata dai giudici della VI commissione del Csm, che ha approvato all’unanimità un parere da inviare al ministero della Giustizia in cui dichiara il decreto incostituzionale nella parte in cui si occupa di migranti e richiedenti asilo.
4. La Libia è un inferno. Tra i migranti che rifiutano di scendere dalla nave Nivin
Vi portiamo in Italia, state tranquilli. È quanto si sono sentiti dire i 95 migranti soccorsi dalla nave mercantile panamense Nivin partita dall’Italia, allertata dalle autorità italiane e maltesi e diretta invece verso Misurata in Libia.
Quattordici persone hanno accettato di lasciare la nave il 15 novembre – tra loro un neonato di quattro mesi – e sono state trasferite in un centro di detenzione, ma almeno in 79 si rifiutano di scendere.
Non vogliamo tornare all’inferno, fanno sapere i migranti a bordo della nave – molti dei quali hanno già subito le violenze dei trafficanti di uomini e delle milizie – mentre le condizioni igieniche e sanitarie peggiorano di ora in ora.
https://twitter.com/mannocchia/status/1064477893512912896
“La protesta a bordo della nave ormeggiata a Misurata dà una chiara indicazione delle terribili condizioni cui sono sottoposti rifugiati e migranti nei centri di detenzione libici, dove sono abitualmente esposti a torture, stupri, percosse, estorsioni e altri abusi” dichiara Amnesty Internetional, invitando i governi europei e quello di Panama a collaborare per evitare che i migranti finiscano nei famigerati centri di reclusione in Libia, paese considerato non sicuro.
Restando nel paese Nord africano, Marco Mensurati e Fabio Tonacci su Repubblica hanno indagato la Sar libica, “una farsa, un alibi per rasserenare certe coscienze politiche, teatro di operazioni di polizia spesso condotte con metodi brutali”.
5. Corridoi umanitari, dal Niger 51 migranti in Italia
Hanno vissuto l’inferno dalle carceri libiche, sono stati trasferiti grazie al lavoro dell’Unhcr in Niger in attesa di essere ricollocati, ora 51 di loro – tutti aventi diritto alla protezione umanitaria – sono stati accolti in Italia. Ad attenderli all’aeroporto il Ministro degli Interni che chiosa: “non si arriverà più con i barconi dei criminali”.
All aboard! 51 @refugees are safely on their way to Italy on a humanitarian flight. We thank Italy & the many other countries working in #solidarity with UNHCR to provide futures for the most vulnerable. pic.twitter.com/r38gJ7gYT7
— UNHCR Niger (@UNHCRNiger) November 14, 2018
Per pochi che in sicurezza hanno raggiunto il nostro paese, in migliaia subiscono “respingimenti violenti e ostacoli alle domande d’asilo”. Lo documenta il Centro Astalli nel rapporto “Dimenticati ai confini dell’Europa”, una raccolta degli sforzi degli stati europei per impedire l’ingresso in Europa a migranti e rifugiati.
6. La burocrazia come termometro dell’ostilità
Il servizio sanitario del Regno Unito sta negando le cure mediche a centinaia di pazienti, dopo che il governo ha imposto pagamenti anticipati ai migranti ritenuti non idonei all’assistenza sanitaria gratuita. Secondo quanto riportato dal Guardian, un paziente con cancro in stadio avanzato è deceduto dopo un anno senza trattamento perché incapace di coprire le 30mila sterline richieste per la chemioterapia.
Le richieste di pagamento anticipato, introdotte nell’ottobre del 2017, farebbero parte secondo il quotidiano britannico di quelle misure adottate al fine di creare un ambiente ostile per gli immigrati, in particolare richiedenti a cui è stato negato l’asilo e migranti con il permesso scaduto. Di questa strategia farebbe parte anche la storia raccontata dall’Indipendent. A Stoke-on-Tren dopo la chiusura del locale servizio di immigrazione a seguito di tagli alla spesa, centinaia di richiedenti asilo sono costretti ad affrontare viaggi di 5 ore ogni settimana per partecipare a incontri richiesti dall’Home Office.
7. Integrazione o segregazione?
Siamo sicuri che programmi e corsi di integrazione progettati esclusivamente per i rifugiati portino all’inclusione? Se lo chiede Refugee Deeply, per cui l’ossessione occidentale per l’integrazione rischia di produrre il risultato opposto a quello sperato. Un interessante punto di vista di Tamim Nashed, rifugiato siriano in Austria.
8. Dalla Val Susa al canale di Sicilia, ancora migranti morti
È di due morti e 8 dispersi il bilancio del naufragio di un barchino al largo dell’Isola del Toro, vicino a Sant’Antioco, sulla costa sud occidentale della Sardegna, ultimo incidente in ordine cronologico ad interessare i confini italiani. Negli stessi giorni in Val Susa 10 migranti che tentavano di raggiungere la Francia sono stati aiutati dal soccorso alpino, 4 risultano invece ancora dispersi (vi avevamo raccontato di come i migranti affrontino la rotta alpina in questo articolo).
È invece di un morto il bilancio che arriva dal Canale di Sicilia. In questo caso un gommone partito dalla Libia è rimasto in avaria per due giorni prima di essere soccorso dall’equipaggio di un peschereccio, che è riuscito a mettere in salvo 41 persone.
9. Una giornata con i richiedenti asilo di Madrid
Fino a maggio si poteva richiedere un appuntamento per ritirare il documento al telefono, ma ora con le nuove procedure volute dal ministro degli Interni bisogna presentarsi di persona e c’è posto per solo 99 persone al giorno. Centinaia di rifugiati affrontano così lunghe e fredde notti in fila fuori la stazione di polizia di Aluche a Madrid solo per presentare domanda d’asilo. El Pais ha trascorso la notte con loro.
Intanto una nuova tragedia è avvenuta a largo delle coste spagnole, 22 migranti partiti con un barcone da Tiznit in Marocco non hanno mai raggiunto le isole Canarie e risultano disperse.
10. Il New Yorker racconta lo scambio di persona del “caso Mered”
Il 3 ottobre 2013 annegano poco lontano dalla costa di Lampedusa 368 persone migranti. All’orrore per la strage seguono la nascita dell’operazione Mare Nostrum, polemiche sulla lentezza dei soccorsi, e indagini sugli scafisti. Una in particolare, quella sul trafficante Mered, diventa il fiore all’occhiello dell’Operazione Sophia. Nel frattempo però, dall’avvistamento in Uganda del vero Mered, al Dna del figlio che scagiona l’uomo in carcere in Italia, sempre più indizi fanno pensare a uno scambio di persona. Grazie al lavoro investigativo di Lorenzo Tondo – autore del libro Il Generale – la storia del processo a Medhanie Tesfamarian Behre arriva sul New Yorker.
In copertina: il presidio Baobab il giorno dello sgombero (foto di Andrea Oleandri)