In una torrida mattinata di luglio, dalla deviazione stradale realizzata per raggiungere il poligono industriale, due donne osservano cosa sta succedendo a poche decine di metri da loro, nel “mare di nessuno” fra le due cortine di Ceuta e Marocco: un ragazzo si è tuffato in acqua dalla spiaggia del Tarajal e sta nuotando nel mare calmo, per attraversare il confine in senso contrario, mentre due membri della Guardia Civil a bordo di uno scooter d’acqua lo controllano a breve distanza senza intervenire. “Tanti quando si accorgono che qui non c’è nulla decidono di ributtarsi in mare – spiega la donna, di origine marocchina – piuttosto che aspettare una sorte incerta in un centro di accoglienza.” Tutti i passanti, a piedi o in auto, sono catturati da quella scena e non distolgono lo sguardo dal nuotatore finché non supera anche la seconda recinzione.
Nessuno dei migranti considera Ceuta come luogo definitivo di approdo, ma tutti ambiscono a raggiungere la “penisola” e a stabilirsi in Spagna, in Germania, Francia, Italia, qualunque paese europeo purché sull’altra sponda del Mediterraneo. Ma i tempi per la valutazione delle richieste sono spesso lunghi, troppo, e così si finisce per rischiare la vita in mare nello Stretto di Gibilterra o nuotare per quel breve tratto al contrario e tornare indietro.
La particolarità geografica di questo lembo di terra, così come per Melilla, ha comportato anomalie giuridiche dato che entrambe le enclavi spagnole in Marocco sono al di fuori del regime tributario dell’Unione Europea e fanno formalmente parte dell’area Schengen anche se ad applicazione limitata, poiché i controlli alle frontiere avvengono anche per chi si reca in Spagna, quindi all’interno dello stesso Stato. Il risultato dell’ingresso nell’Unione Europea e nello spazio Schengen è stato quello di avvicinare queste città all’Europa, riconoscendole come territori speciali, ma ha comportato un rafforzamento nell’impenetrabilità del confine sud, quello che formalmente, e solo per questi due brevi tratti terrestri in tutto il Mediterraneo, divide Europa e Africa.
Dunque Ceuta e Melilla sono città europee per trattato, da quando nel 1986 la Spagna ha aderito all’allora Comunità Europea, e solo dal 1995 sono diventate autonome da statuto, pur restando parte integrante dello Stato. Il Marocco ha una delle relazioni più avanzate con l’Ue tra i partner meridionali, per un accordo di associazione in vigore dal Duemila e un nuovo piano di Politica europea di vicinato. Soprattutto in fatto di migrazioni è un interlocutore privilegiato: nel 2013 ha adottato con l’Ue un partenariato per la mobilità con l’obiettivo di perseguire le partenze legali, contrastare l’emigrazione irregolare e promuovere il rispetto degli strumenti internazionali per la protezione dei rifugiati. In cambio è finanziato dall’Europa e a oggi ha ricevuto oltre 340 milioni di euro, dei quali 234 provenienti dal Fondo fiduciario di emergenza dell’Ue per l’Africa.
Il rovescio della medaglia è che l’attribuzione di questo ruolo chiave nell’esternalizzazione delle frontiere europee possa dare al Marocco il potere di fermare, oppure orientare, il flusso migratorio per fare i suoi interessi, o esprimere contrarietà all’azione di un paese membro, come avvenuto con la crisi di Ceuta di maggio in risposta all’accoglienza e al ricovero in Spagna del leader del Fronte Polisario Ghali.
La risoluzione 2747
Nel caso specifico, l’Europa ha assunto una posizione formale di condanna per il Marocco prima nel corso della riunione straordinaria del Consiglio europeo del 24 e 25 maggio, e poi attraverso la risoluzione 2021/2747 votata dal Parlamento europeo, che il 10 giugno si è pronunciato sulla questione dei minori non accompagnati giunti a Ceuta in quelle 48 ore.
Il documento sulla violazione della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e utilizzo di minori da parte delle autorità del Marocco nella crisi migratoria a Ceuta, fotografa la situazione tenendo conto delle relazioni tra Ue e Rabat, ma anche delle forti tensioni diplomatiche create da quest’ultima crisi, con un aumento senza precedenti di ingressi nella città autonoma, a seguito di un deliberato allentamento dei controlli: almeno 9 mila persone, fra le quali molte famiglie e un migliaio di minori non accompagnati, spesso senza nessun progetto migratorio ma indotti al transito con la scusa di assistere a una partita di calcio gratuita fra giocatori di fama internazionale.
Il Parlamento Ue ha condannato l’utilizzo di bambini o comunque minori soli come strumento di pressione politica nei confronti di uno stato membro, anche a rischio della loro sicurezza, e, si legge: “si rammarica dell’aggravarsi della crisi politica e diplomatica, che non dovrebbe compromettere relazioni strategiche, multidimensionali e privilegiate di vicinato, e nemmeno la cooperazione di lunga data, basata sulla fiducia reciproca, nei settori della lotta al terrorismo, alla tratta di esseri umani, al traffico di stupefacenti, della migrazione e delle politiche commerciali; e ritiene che le controversie bilaterali fra partner debbano essere affrontate attraverso il dialogo diplomatico”.
Nella risoluzione si esprime comunque un apprezzamento per i passi intrapresi dalle autorità marocchine rispetto al rimpatrio dei minori soli identificati in territorio Ue come irregolari, ma si ribadisce anche la posizione europea sul Sahara Occidentale, basata sul rispetto delle decisioni del Consiglio di Sicurezza dell’Onu e sulle soluzioni negoziate, oltre a riaffermare che Ceuta è frontiera esterna Ue e la sua protezione e sicurezza riguarda tutta l’Europa.
I “rechazos en frontera”
Dal primo giugno il Marocco ha scelto di collaborare al rimpatrio dei minori soli identificati, grazie al ricongiungimento familiare e all’assistenza nella ricerca dei parenti. Da parte spagnola, è stata attivata una linea di assistenza telefonica per mettere in contatto i bambini con le rispettive famiglie, in attesa di valutarne identità, circostanze personali, eventuali vulnerabilità e rischi al rientro.
Per gli adulti invece la questione dei rimpatri, spesso sommari e immediati, è stata già sotto la lente di diverse organizzazioni internazionali, oltre che della stessa Ue, per violazioni dei diritti umani. Spagna e Marocco hanno firmato nel 1992 un accordo di riammissione, e da allora il sistema di sorveglianza congiunto e l’implementazione della cortina hanno rafforzato il loro controverso legame di interdipendenza. Ma se il Regno non ha un quadro giuridico sulla gestione dei migranti e la protezione dei richiedenti asilo, pur avendo sottoscritto la Convenzione di Ginevra, la Spagna è già stata condannata dalla Corte Europea nel 2017 per un’espulsione sommaria avvenuta questa volta a Melilla, anche se sullo stesso caso, tre anni dopo, la Corte europea dei diritti umani ha poi escluso la violazione del divieto di espulsioni collettive facendo valere l’eccezione della sicurezza pubblica.
Quella dei respingimenti è una pratica adottata da entrambi i paesi, nel caso del Marocco verso i cittadini subsahariani, per la Spagna nei confronti di chi cerca di attraversare il confine con Ceuta e Melilla, grazie alla Ley Orgánica de protección de la seguridad ciudadana del 2015, che ammette il respingimento in caso di tentativo di superamento illegale della cortina, (rechazos en frontera o respingimento in frontiera). A pochi giorni dalla crisi di maggio, il governo spagnolo ha fatto sapere di aver rimandato in Marocco almeno la metà delle persone entrate irregolarmente.
L’impiego di Frontex
Nella protezione dei confini la Spagna è stata sempre riluttante a richiedere l’aiuto di Frontex, l’Agenzia europea di guardia costiera e frontiera, e anche in quest’ultima crisi a Ceuta ha dimostrato una certa cautela nell’aprire a una condivisione di intervento, nonostante la proposta di aiuto arrivata nei giorni caldi di maggio dal direttore dell’Agenzia. Frontex opera già nell’area, con tre diverse missioni e 180 agenti: Hera alle Canarie, Indalo e Minerva nella penisola. Una presenza molto contenuta se paragonata a quella dell’operazione Poseidon che include le acque fra Grecia e Turchia e le frontiere terrestri della Grecia con Albania, Turchia e Bulgaria.
La presenza di Frontex anche a Ceuta sarebbe un ulteriore segnale, per il Marocco, di europeizzazione di quella frontiera, e per l’Agenzia un modo per riaccreditarsi a livello internazionale dopo essere finita sotto i riflettori per un presunto coinvolgimento in rimpatri illegali.
Gli arrivi e le domande di asilo
In generale, l’obiettivo che accomuna la Spagna all’Italia (e alla Grecia), è quello di trasferire sui paesi di transito le responsabilità del contrasto all’immigrazione irregolare, includendoli nelle operazioni di controllo e facendo accordi in merito, con il rischio concreto di pratiche di riammissione sbrigative o peggio, come nel caso italiano, di stabilire accordi con un paese, la Libia, che non ha mai nemmeno ratificato la convenzione di Ginevra del 1951 sullo statuto del rifugiato e che non dispone di nessuna norma per assicurare protezione ai richiedenti asilo. La differenza più consistente sta nel numero di respingimenti, che nel caso particolare delle frontiere col Marocco, risulta più “semplice” da mettere in atto perché possibile via terra, in presenza di accordi con la controparte.
Nel 2020 sono arrivate in Spagna via mare 40 mila 106 persone, per un totale di oltre duemila imbarcazioni, delle quali più della metà (23 mila) sono sbarcate alle Canarie, una rotta alternativa che si è riaperta con flussi importanti dalla fine del 2019; altre 16 mila sono arrivate alle Baleari. Solo 473 sono stati gli sbarchi tra Ceuta e Melilla. Anche nel 2021 le Canarie si confermano come primo punto di approdo, perché a parte l’eccezione del 17-19 maggio, le fortificazioni e i controlli ai confini delle città autonome scoraggiano dall’intraprendere quella rotta, anche se meno rischiosa.
Il sistema spagnolo, sebbene negli ultimi anni si sia assistito ad un aumento importante delle richieste di protezione internazionale, resta molto restrittivo sul numero delle domande ammesse e risolte positivamente.
Attraverso i dati raccolti nell’Asylum information database, il Consiglio europeo ha denunciato la mancanza di assistenza legale per i migranti sbarcati alle Canarie per le prime 72 ore, e successivamente la scarsa empatia degli avvocati che avrebbero incoraggiato il rimpatrio anziché la presentazione della domanda d’asilo.
Ceuta è un caso a sé, dove non risulta nessuna presentazione di richiesta di asilo, nonostante il Ministero dell’Interno abbia istituito uffici per l’asilo presso i valichi di frontiera; probabilmente la causa principale del dato a zero è legata all’impossibilità di sfuggire ai controlli della polizia marocchina – salvo situazioni particolari come quella creatasi a maggio – e, in caso di attraversamento, al timore di restare bloccati nell’enclave e non raggiungere mai la penisola.
In copertina: l’ingresso a Ceuta, e dunque in Spagna, dal varco del Tarajal, dove ogni mattina alcuni migranti si mettono in fila per i documenti. Foto di Ilaria Roman0.