Cancelli aperti e libera uscita dalle 7.30 alle 22.30. Ingresso consentito solo a chi avrà un badge, ma nessuna raccolta d’impronte digitali. Trecento i posti disponibili. Colazione, pranzo e cena saranno serviti sotto un tendone.
Ha aperto lunedì 19 settembre alle 8 il nuovo centro di accoglienza temporaneo, voluto dalla Prefettura e allestito in meno di un mese, a circa un chilometro dallo scalo ferroviario di Como San Giovanni. Lì, fra le banchine e i giardini sottostanti, più di 300 migranti – in particolare etiopi oromo, sudanesi ed eritrei – provano ogni giorno a superare la frontiera per arrivare in Svizzera o andare oltre, in Germania e nei paesi del Nord.
Sono stati installati 50 moduli abitativi, container riscaldati e condizionati, e la gestione è stata affidata alla Croce Rossa, che si occuperà di destinare gli incarichi dei sotto servizi (per esempio, i pasti tramite catering). Ai migranti sarà consegnato un tesserino con foto per entrare e uscire dal centro: se l’assenza supererà le 72 ore, si perderà il diritto all’accoglienza. Il lavoro di assistenza e mediazione legale sarà coordinato dalla Caritas, in collaborazione con i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Acli. Sono pochi i migranti iscritti al momento, quasi un centinaio, ma la sensazione è che siano in aumento (ieri erano circa 60). Gli etiopi oromo, al momento, si rifiutano di entrare, temendo di essere dimenticati una volta dentro.
Nei giorni scorsi è stato stilato un vademecum che si rivolge direttamente al migrante, esplicitando alcune regole e spiegando che «il centro di accoglienza è stato attivato per darti un’accoglienza dignitosa in vista del peggioramento delle condizioni meteorologiche che ci sarà nei prossimi mesi». Potranno entrare solo le persone autorizzate, «sarà aperto tutto il giorno e quindi avrai la possibilità di entrare e uscire durante l’intera giornata. Potranno essere ospitati tutti (uomini e donne) e le famiglie non verranno separate. «Verrà data assistenza medica – continua il documento – e avrai anche la possibilità di ricevere ogni tipo d’informazione utile sui tuoi diritti nel sistema di accoglienza italiano».
Ognuno potrà scegliere, entro un determinato periodo di tempo, se richiedere asilo in Italia ed essere quindi inserito nel circuito dell’accoglienza. «Il centro non potrà essere in ogni caso un luogo di detenzione del migrante o, peggio, di deportazione, assolutamente bandita dallo stato italiano».
Non sarà più tollerato l’accampamento ora presente nei giardini sotto la stazione: la Prefettura ha fatto sapere che, anche se non avverrà “manu militari”, lo sgomberò dovrà avvenire nei prossimi giorni. I migranti, quindi, dovranno scegliere se entrare nel centro oppure essere allontanati da Como. E proprio nei giorni scorsi, un centinaio di essi ha manifestato la propria contrarietà alla soluzione governativa, animando un info point informale ai giardini e supportati dal gruppo d’italiani che si definisce “i solidali”.
Fra i cori di ringraziamento alla città di Como, l’urlo più forte chiedeva solo una cosa: “open the borders”.
Como, la nuova frontiera
Con l’apertura del centro si apre una nuova fase e si mette un punto alla situazione cominciata a inizio luglio, quando decine di migranti, in buona parte eritrei e nigeriani, cominciavano ad affollare la stazione di San Giovanni provando, tutti i giorni, a varcare la frontiera e a passare in Germania, venendo puntualmente respinti.
Nei mesi il numero è cresciuto arrivando a superare quota 500. Il giardino della stazione è diventato, col passare del tempo, una distesa di tende e coperte. È stato montato una sorta di canestro di fortuna e la rete provvisoria per due tiri a pallavolo. S’inganna l’attesa, e si tenta la fortuna provando a superare il confine con ogni mezzo: in treno, a piedi nei boschi, in bus. Buona parte di queste persone non è stata identificata al momento dell’arrivo nel nostro Paese o è scappata dai centri del Sud Italia.
Uno degli aspetti più controversi riguarda il trasferimento coatto di migranti dalla frontiera con la Svizzera agli hotspot di Taranto attraverso i bus della ditta Rampinini, unica ad aver partecipato all’appalto organizzato dalla prefettura. La pratica costa circa 20mila euro ogni settimana (i viaggi di solito sono due) ed è fortemente criticata perché, fra le altre cose, avviene senza il supporto di un traduttore e senza informare le persone sulla loro destinazione.
A Como, la macchina del volontariato si è messa in moto subito, con i ragazzi di una parrocchia a distribuire colazioni la mattina, l’associazione svizzera Firdaus della deputata ticinese Lisa Bosia Mirra a occuparsi del pranzo (sostituita poi dalla Caritas, non senza polemiche) e Croce Rossa Italiana e Caritas a pensare alla cena. È stata installata una tenda della Cri da 20 posti per le situazioni fragili e per le famiglie; ha preso vita, a fine luglio, la mensa di Sant’Eusebio, esperienza terminata domenica 18 settembre e che ha convogliato attorno a sé 500 persone, servendo migliaia di pasti per la cena. Inoltre, Como senza frontiere, che riunisce diverse realtà e associazioni, si è fin da subito attivata nell’assistenza e nell’organizzazione di attività. Il Comune di Como ha coordinato un tavolo, a cui partecipano i diversi enti coinvolti, creato per gestire l’emergenza.
Sono state denunciate numerose violazioni circa i respingimenti effettuati alla frontiera di Chiasso. A fine agosto, l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) e Firdaus, con la partecipazione di Amnesty International, hanno presentato i report stilati dalle prime due organizzazioni, in cui si dice che le autorità italiane e svizzere non hanno rispettato alcuni fondamenti del diritto nazionale, internazionale e comunitario: per esempio la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo, Codice Frontiere Schengen, Regolamento Dublino III e Regolamento Eurodac.
Minori non accompagnati: ancora una volta lasciati soli
In particolare, preoccupa la situazione dei minori non accompagnati. Da metà luglio alla fine di agosto, sono stati effettuati da Chiasso 7mila respingimenti; secondo alcuni dati, elaborati da un documento stilato da Asgi sulla base delle informazioni raccolte, nello stesso periodo sono stati affidati alla Caritas e collocati nella struttura presso la parrocchia di Rebbio 454 minori stranieri non accompagnati riammessi in Italia dalla Svizzera (corrispondenti a 602 riammissioni: alcuni sono stati respinti più di una volta, in alcuni casi addirittura sei volte).
Quasi tutti restano nella struttura di accoglienza per poche ore e poi tornano alla stazione di Como. Dalle testimonianze raccolte, alcuni sono stati addirittura lasciati soli sul territorio italiano e invitati a recarsi in autonomia dai servizi sociali del Comune.
E, in generale, quasi tutti i migranti ascoltati dicono di non aver mai ricevuto adeguate informazioni sulla protezione internazionale, né all’arrivo in Italia né in seconda battuta: «Sia alle frontiere italiane sia a quelle svizzere – ha affermato Anna Brambilla dell’Asgi durante la presentazione dei report – si riscontra una grave carenza di servizi d’informazione, orientamento legale e d’interpreti».
Il giorno prima della presentazione alla stampa del report di Asgi, Amnesty e Firdaus, le guardie di confine svizzere hanno risposto alle domande dei giornalisti circa la situazione migratoria e le sue procedure. Per un mese non hanno rilasciato interviste televisive sul confine sud e hanno fornito risposte, da Berna, solo scritte.
L’atteggiamento, specie in terra elvetica, ha creato alcune polemiche, visti i chiarimenti chiesti da molte ong, da Amnesty all’Organizzazione svizzera di aiuto ai rifugiati. Per prima cosa, Patrick Benz, capo specialista in ambito migratorio del comando delle guardie di confine di Berna, ha spiegato il funzionamento del centro d’affluenza di Chiasso: «La maggior parte delle persone è fermata sul treno, altri fermi avvengono alla “frontiera verde” lungo le strade». I migranti sono trasportati nella sala d’attesa, dove vengono identificate le persone più vulnerabili.
In un secondo momento, un controllo stabilisce chi è malato e viene applicato a tutti un braccialetto colorato per identificare la situazione. «C’è il controllo del bagaglio – continua Benz -, l’eventuale perquisizione e l’identificazione con la presa delle impronte digitali, fatta eccezione per chi ha meno di 14 anni». Solo a questo punto arriva il momento della prima audizione: «Le persone sono informate – aggiunge Benz – utilizzando infografiche e moduli in più di 50 lingue per chiedere cosa vogliono, il motivo dell’entrata e il soggiorno».
Chi è respinto, attraverso la riammissione semplificata è consegnato alla polizia italiana: a questo proposito, a fine agosto è stato aperto il centro unico temporaneo di Rancate, la nuova struttura pensata per sostituire i centri di protezione civile finora utilizzati per ora attivi (resteranno a disposizione in caso di emergenza). Chi invece fa domanda d’asilo è trasferito al Centro di registrazione e procedura di Chiasso, e la responsabilità diventa della Segreteria di Stato della migrazione (Sem). La procedura dura al massimo tre ore, l’80% arriva tramite treno e due terzi dei fermati intenderebbero procedere verso il Nord Europa.
Il “metodo svizzero”
È stato sottolineato come non vi sia stato nessun inasprimento nel metodo di lavoro: le basi sono le stesse, è cambiata la procedura per rispondere all’afflusso maggiore. Per i minorenni non accompagnati, si lavora sulla base degli accordi italo svizzeri, che non distinguono fra minorenni e maggiorenni, e che prevedono che, qualora non facesse domanda d’asilo, il migrante venga riconsegnato direttamente alle autorità italiane. Benz ha specificato come sia sempre il migrante, durante il colloquio, a doversi esprimere e, anche attraverso la mimica, fare una richiesta d’aiuto.
In diversi hanno denunciato perquisizioni umilianti. A questo proposito, Mauro Antonini, comandante delle guardie di confine, respingendo le accuse, ha spiegato come avviene la procedura: «In due fasi distinte uomini controllano uomini, donne controllano donne. Prima si fa spogliare la parte superiore, una volta conclusa si rivestono e si procede con quella inferiore – ha concluso -. Perquisizioni in parti intime? Non è sistematico, se subentrano sospetti si esegue». «I controlli invasivi del corpo vengono sempre fatti dal personale medico», aggiunge Attila Lardori, portavoce delle guardie di confine.
Ha fatto molto scalpore però la testimonianza di Karim (nome di fantasia), ragazzo eritreo di 17 anni. «Fermato – scrive l’Unione degli studenti Lombardia, che ha raccolto e pubblicato la storia – fatto scendere dal treno dalle guardie di confine, lo portano in una stanza e lo denudano completamente per effettuare alcune perquisizione intime. Afferma di aver subito diverse umiliazioni da parte della polizia Svizzera, non entra nel merito, ma dice di averne subite simili solo “in Libia e nel Sahara”, non si aspettava di doverne subire anche qui. Dice dunque di essere stato caricato su un furgone blu con i vetri insieme ad altre 6 persone, e per quello condotto in un luogo che non saprebbe identificare, a 10 minuti di macchina dalla stazione. Ci dice: “Mi sembrava di essere un sorvegliato speciale, in Eritrea solo i sorvegliati speciali sono trasportati in furgone”. Giunti a destinazione viene introdotto in un bunker, ci tiene a specificare “underground”. Per tutto il giorno non viene servito né un pasto né un bicchier d’acqua».
Ora, è difficile capire se i migranti presenti oggi alla stazione decideranno di recarsi al centro. La maggior parte dei presenti non è entusiasta all’idea di muoversi dalla stazione, pur con tutti i disagi di una situazione al limite e il peggiorare delle condizioni meteo, e si respira una contrarietà piuttosto diffusa. Ma c’è anche la richiesta di avere informazioni e sapere come sarà: nelle assemblee con alcuni volontari e in altri momenti di socialità, per esempio alla mensa, sono state tante le domande.
Ma il tempo stringe: presto tutti dovranno scegliere se entrare nel centro oppure essere allontanati da Como.
FOTO DI COPERTINA (di Emanuele Amighetti): Como, migranti di fronte al confine italo-elvetico.