Il 30 luglio scorso Alarm Phone denuncia il “Rientro forzato di 120 persone in Libia. Siamo stati avvisati di una barca in difficoltà in acque internazionali: le 120 persone, inclusi una donna incinta e persone con ferite da arma da fuoco, avevano paura di essere riportati in Libia. Abbiamo perso i contatti e ora abbiamo appreso che sono state rapite dalla guardia costiera libica”.
Soltanto pochi giorni prima, il 26 luglio, sono morte 57 persone nel Mediterraneo e tra loro una ventina di donne e un numero imprecisato di neonati e di bambini. Da inizio anno sono circa 1000 i morti nel Mediterraneo che si aggiungono alle circa 20000 persone morte annegate tra il 2014 e il 2020 nel Mare Nostrum, secondo il progetto Missing Migrants dell’Oim.
A questa continua strage si aggiungono le decine di migliaia (impossibile calcolare il numero) di richiedenti asilo che da inizio anno sono stati ricondotti nei lager libici dalla guardia costiera libica. Secondo un rapporto di Amnesty International, pubblicato lo scorso 15 luglio, intitolato “Nessuno verrà a cercarti: i ritorni forzati dal mare ai centri di detenzione della Libia”, le violazioni dei diritti umani dei migranti e dei rifugiati nei lager libici, in corso da un decennio, sono proseguite incontrastate nel primo semestre del 2021 con “pestaggi brutali, violenze sessuali, estorsioni, lavori forzati e condizioni detentive inumane”. Non a caso, lo scorso giugno, Medici senza frontiere è stata costretta a sospendere le attività umanitarie in due centri a Tripoli:
Non è una decisione facile da prendere perché significa che non saremo presenti lì dove sappiamo che le persone soffrono quotidianamente. I continui e violenti incidenti che causano gravi danni a migranti e rifugiati, nonché il rischio per la sicurezza del nostro personale, hanno raggiunto un livello che non siamo più in grado di accettare. Fino a quando la violenza non cesserà e le condizioni non miglioreranno, non potremo più fornire assistenza medico-umanitaria in queste strutture.
Beatrice Lau, Capomissione MSF in Libia
Intanto la guardia costiera libica, secondo l’Ammiraglio Agostini della missione navale europea Irini, non è più sotto il controllo dell’Europa e dell’Italia e ciò nonostante lo scorso 15 luglio è stato votato un rifinanziamento alle milizie libiche di circa 10 milioni di euro dal Parlamento italiano.
L’attuale governo dunque non ha dato alcun segnale di discontinuità con i precedenti governi rifinanziando le milizie libiche e rendendosi quanto meno connivente delle morti che avvengono di fronte alle coste libiche e delle torture perpetrate nei lager libici.
Non solo. L’attuale governo, in continuità con i governi Minniti e Salvini, sta impedendo alle navi umanitarie di poter effettuare salvataggi, sottoponendole sistematicamente a fermi amministrativi. Fermi amministrativi illegittimi in quanto impartiti per il presunto mancato rispetto di norme sulla sicurezza navale – si contesa l’inosservanza degli standard minimi di navigazione e sicurezza imposti dalle convenzioni internazionali dell’Organizzazione marittima internazionale (IMO) e dell’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) -, nonostante gli Stati di bandiera abbiano in tutti i casi di fermi del 2021 già certificato la sicurezza delle navi. Ricordiamo che la competenza a certificare la sicurezza delle navi, per il diritto internazionale ed europeo, spetta prioritariamente agli stati di bandiera e non di approdo.
Secondo la recente inchiesta del Manifesto si tratta di fermi disposti arbitrariamente, per ragioni politiche e vi sono state prese di posizioni degli stati di bandiera – la Spagna (Open Arms e Aita Mari), la Norvegia (Ocean Viking e Geo Barents) e la Germania (Sea-Watch 3 e 4, Alan Kurdi, Sea-Eye 4) – che minacciano di impugnare tali provvedimenti.
Nella stragrande maggioranza dei fermi l’Autorità italiana ha contestato ai capitani delle rispettive navi di aver salvato un numero di persone maggiore di quelle che possono essere accolte sulle navi secondo i certificati di sicurezza in loro possesso.
Ma come ha ben spiegato al Manifesto Christian Bubenzer, portavoce della divisione sicurezza navale della guardia costiera tedesca, la Bg-Verkehr «Una nave non può mai sapere preventivamente se una situazione critica sorgerà in mare e quante persone dovranno essere salvate in quell’evento. Se il numero di dispositivi di salvataggio destinati alle persone in pericolo fosse preventivamente indicato nel certificato di sicurezza della nave entrerebbe in conflitto con l’obbligo incondizionato del capitano di fornire assistenza a tutte le persone in pericolo».
Si è dunque passati dal Codice di Condotta delle ONG dell’era Minniti e dal blocco navale dell’era Salvini all’era dei fermi amministrativi (anche di 69 giorni, come nel caso della Open Arms) con il risultato comune di agire contro il diritto internazionale e di rendersi conniventi con il massacro di vite umane perpetrato nel Mediterraneo dalla guardia costiera libica e nei lager libici dalle milizie libiche.
In copertina: foto via SOS Mediterranée Ita/Twitter