“Se potessi tornare indietro farei esattamente ciò che ho fatto. Preferisco essere perseguita da uno Stato per salvare vite, piuttosto che diventare complice di un omicidio sistematico”. Non ha dubbi Kathrine Schmidt, ex capo missione sulla nave Iuventa della ong tedesca Jugend Rettet. Tra il 2016 e il 2017 ha contribuito a salvare oltre 14mila persone in pericolo nel Mediterraneo. Poi si è dovuta fermare: ad agosto 2017 la Procura trapanese ha sequestrato la nave e messo sotto inchiesta dieci persone dell’equipaggio – insieme a una compagnia di navigazione e due Ong, Save The Children International e Medici senza frontiere – con l’accusa di ‘favoreggiamento dell’immigrazione irregolare’.
Dopo quasi cinque anni di indagini, le accuse sono cadute per sei persone della crew Iuventa; quattro però sono oggi imputati e rischiano fino a 20 anni di carcere. Tra loro proprio Schmidt, insieme a Dariush Beigui, Sascha Girke e Uli Tröder, protagonisti loro malgrado del primo procedimento giudiziario italiano contro una Ong di ricerca e soccorso. “Un processo che esemplifica l’uso improprio della legislazione sulla facilitazione dell’immigrazione irregolare per colpire i difensori dei diritti umani e reprimere la solidarietà”, evidenzia Amnesty International nel report ‘Punire la compassione‘. Insieme allo European Center for Constitutional and Human Rights, Amnesty fa parte del gruppo di osservatori internazionali che monitora il processo, paradigmatico tanto dell’impegno profuso dal governo nel criminalizzare chi soccorre persone in pericolo, quanto della superficialità e inaccuratezza che contraddistingue l’operato dell’accusa, ossia lo stato italiano, nel tutelare i diritti umani fondamentali.
Intercettazioni e mancate traduzioni: quando lo stato non rispetta i diritti
Il 21 maggio 2022 presso il Tribunale di Trapani sono iniziate le udienze preliminari, dopo indagini caratterizzate dall’intercettazione di giornalisti e di conversazioni tra avvocati e i loro difesi, in violazione delle norme nazionali e internazionali a tutela delle fonti giornalistiche e delle comunicazioni tra legali e clienti.
Le prime fasi del procedimento – inizialmente a porte chiuse, senza stampa né osservatori internazionali – sono state viziate da errori procedurali compiuti dall’accusa, cosa che per mesi ha di fatto bloccato il processo. “Abbiamo assistito [..] a una durata irragionevole delle indagini, a illecite intercettazioni telefoniche, [..] alla negazione del diritto alla traduzione delle prove d’accusa”: così Nicola Canestrini, avvocato della difesa insieme a Francesca Cancellaro, dopo l’udienza del 29 ottobre 2022. “Se le persone non hanno un processo equo il verdetto è già stato emesso. La strategia è chiara: bloccare la nave, intimidire i membri dell’equipaggio, impiegare più tempo possibile ad arrestarci. Nel frattempo le persone continuano a morire alle porte dell’Europa” commentava Dariush Beigui.
A fronte di tali condizioni, la presenza degli osservatori risultava imprescindibile a garanzia di un processo equo. L’autorizzazione in tal senso è arrivata solo a dicembre: un precedente importante in Italia e, seppur in ritardo a causa dell’opposizione iniziale della pubblica accusa, una decisione positiva della Corte, che ha stabilito anche la necessità di interpreti aggiuntivi.
La posizione intimidatoria del governo
“È sorprendente quanto il governo italiano sia disposto a fare per dissuadere le Ong dal salvare le persone in mare”: Elisa De Pieri, ricercatrice regionale di Amnesty International, a dicembre 2022 commentava la richiesta di Ministero dell’Interno e Presidenza del consiglio di entrare come parte civile nel processo e chiedere un risarcimento per i presunti danni subìti. “Il fatto che il governo affermi di aver subìto danni morali e di reputazione a causa delle nostre azioni di difensori dei diritti umani è eloquente per uno Stato membro dell’UE, e davvero vergognoso” evidenziava Schmidt.
La richiesta della Presidenza del Consiglio è stata respinta, ma non quella del Viminale, che secondo Amnesty ha assunto una posizione “intimidatoria nei confronti dei difensori dei diritti”, il cui ruolo è stato riconosciuto nel 1998 dalla Dichiarazione Onu sui difensori, secondo cui gli Stati devono garantire un ambiente sicuro in cui operare senza timore di ritorsioni.
“Il processo Iuventa è una macchia sempre più scura sull’impegno dell’Italia e dell’Unione europea in favore dei diritti”: così Mary Lawlor, relatrice speciale delle Nazioni Unite sui difensori dei diritti umani. Insieme a Clément Nyaletsossi Voule, relatore speciale Onu sui diritti alla libertà di riunione e associazione pacifica, e Felipe González Morales, relatore speciale sui diritti umani dei migranti, ha sollecitato il governo italiano ad archiviare il caso.
La legge come strumento di criminalizzazione
“È ora di riconsiderare l’intera disciplina. Da oggi questo processo assume una portata giuridica più ampia”: così Francesca Cancellaro, avvocata della difesa, commentava l’istanza di rimessione degli atti alla Corte Costituzionale presentata all’udienza dello scorso 12 maggio. “Un valoroso tentativo di trarre da questo caso giudiziario, che non sarebbe mai dovuto iniziare, qualcosa di buono e utile” sottolineava De Pieri, riferendosi alla necessità di rivedere la normativa sul favoreggiamento dell’immigrazione irregolare, contenuta all’art. 12 del Testo Unico sull’immigrazione, per evitarne l’uso improprio contro i difensori dei diritti, ma anche contro rifugiati e migranti che aiutano familiari e amici. E’ proprio questo articolo ad essere ritenuto costituzionalmente illegittimo nell’istanza presentata dalla difesa, che allarga il panorama al di là del caso Iuventa. E non potrebbe essere diversamente: perché il procedimento giudiziario che sta bloccando da anni quattro persone “colpevoli” di aver soccorso altri esseri umani non è un caso isolato, ma si inserisce in una dinamica europea di criminalizzazione di chi agisce in solidarietà con le persone in movimento. Guardando nello specifico alle operazioni di ricerca e soccorso in mare, va ricordato che si muovono sempre nel rispetto del diritto marittimo internazionale, a fronte dell’assenza di missioni istituzionali.
Nell’istanza presentata, la difesa ha ripreso anche il ‘Pacchetto Facilitatori’, sollevando una questione di incompatibilità delle sue disposizioni con la Carta europea dei diritti fondamentali. Il ‘Pacchetto Facilitatori’ corrisponde a una direttiva e una decisione quadro elaborate nel 2002 dall’UE per armonizzare la legislazione dei paesi membri in merito al favoreggiamento dell’immigrazione irregolare: ma la genericità e la discrezionalità lasciata agli stati hanno portato a procedimenti penali e sanzioni nei confronti delle persone che offrono assistenza umanitaria a rifugiati e migranti. Da anni Amnesty chiede l’allineamento del Pacchetto al Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, che riconosce come l’attraversamento irregolare delle frontiere sia spesso l’unica possibilità per le persone in pericolo.
Tanto l’art. 12 del TU quanto le disposizioni contenute nel ‘Pacchetto Facilitatori’ costituiscono, secondo la difesa, una violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità.
Nel corso dell’ultima udienza preliminare del 12 maggio la difesa ha anche criticato nuovamente la mancanza di traduzione di buona parte degli atti di indagine, chiedendo il rinvio alla Corte di Giustizia Europea per una decisione in merito. “L’assenza di traduzioni adeguate va oltre il nostro caso e riguarda tutti gli imputati stranieri. Ad oggi, non abbiamo accesso a una completa traduzione degli atti d’accusa contro di noi” ha evidenziato Girke, imputato di Iuventa.
Entrambe le istanze sono state respinte dal giudice.
“La protezione delle frontiere ha prevalso sulla tutela dei diritti fondamentali”, ha commentato l’avv. Cancellaro, cui ha fatto eco Allison West di Ecchr, parlando di “occasione mancata per una revisione urgente e necessaria del reato di favoreggiamento dell’ingresso irregolare”.
Ma la partita non è finita. Il processo prosegue, e con esso il sostegno di Amnesty, Ecchr, e molte altre realtà, agli imputati di Iuventa. L’obiettivo non è solo contrastare l’accusa agli ex membri dell’equipaggio, ma rifiutare una volta per tutte l’impianto di criminalizzazione con cui le istituzioni degli stati europei attaccano persone e organizzazioni che salvano vite umane riempiendo il vuoto lasciato dai governi.
*Serena Chiodo è Migration senior officer per Amnesty International Italia
[Foto dal profilo Facebook di Jugend Rettet]