Lunedì 19 settembre, alle 8 di mattina, nel giardino della stazione San Giovanni di Como, circa 300 migranti, in buona parte etiopi Oromo, non avevano alcuna intenzione di entrare al nuovo centro di accoglienza.
Oggi, a distanza di quasi 100 giorni e dopo uno sgombero “soft”, lo spazio verde dello scalo ferroviario, vuoto e presidiato costantemente dalle forze dell’ordine, non è più luogo di accampamento. Lavora, invece, a pieno regime lo spazio governativo gestito dalla Croce Rossa Italiana, nato con l’obiettivo di accogliere in misura temporanea i migranti e, al contempo, orientarli circa il percorso dell’accoglienza.
Gli ultimi dati forniti dalla Prefettura, aggiornati a fine novembre, parlano di circa 1.800 persone transitate, anche per poche ore, dalla struttura, di cui due terzi minori. In generale, la grandissima parte delle persone si è fermata poco, magari solo alcuni giorni. A causa di questa mobilità continua, spiega la Prefettura, sono una piccola parte quelli su cui è stato possibile strutturare dall’inizio alla fine un percorso con orientamento sulle opportunità di protezione, ricostruzione della propria storia e accompagnamento. Sulla durata del campo, sempre la Prefettura specifica come quella del 31 dicembre – data inizialmente indicata per la chiusura del centro di accoglienza – non sia una deadline, e che continuerà finché sussisteranno le necessità. Visti i numeri, è difficile pensare a una chiusura entro fine anno.
La struttura, la sua gestione e la mancanza di informazioni all’esterno sono state oggetto in questi mesi di richieste di chiarimento e di polemica. Il consiglio comunale ha scritto una lettera al prefetto di Como Bruno Corda in cui si ponevano alcune domande circa l’organizzazione del centro e la possibilità d’entrare per i consiglieri comunali. La risposta, arrivata il 2 dicembre, allega il regolamento della struttura, e fornisce alcune specifiche circa l’organizzazione e le attività. Innanzitutto spiega come la normativa non consenta ai consiglieri di accedere al campo, aggiungendo però di aver formulato un apposito quesito al ministero dell’Interno. Poi fornisce dettagli sui costi della struttura: «La gestione è stata affidata, mediante convenzione, al comitato provinciale della Croce Rossa, per un importo di 25 euro per migrante al giorno. La Cri deve garantire: gestione amministrativa, assistenza generica alla persona, pulizia e igiene, erogazione pasti, fornitura beni». Il prefetto sottolinea poi che sono garantiti servizi d’informazione, orientamento e mediazione linguistico-culturale. E annuncia: «Per valorizzare l’esperienza del volontariato, che ha fornito un importante supporto nel periodo di permanenza dei migranti alla stazione, è stata richiesta la presentazione di progetti per fornire ulteriori stimoli e favorire un maggiore impegno delle persone presenti nel centro». Si chiarisce poi lo scopo del campo: «La dimensione è stata commisurata alle esigenze di una presenza temporanea, finalizzata alla definizione delle procedure concernenti la possibilità di accesso alle misure di accoglienza previste per i richiedenti asilo».
Fin dalla sua apertura, un gruppo di volontari si è organizzato con quotidiane “ronde solidali notturne” per soccorrere chi restava escluso dal centro, sia perché respinto dalla Svizzera dopo le 22.30, sia perché sprovvisto di badge. Una spola fra San Rocco, il campo, la stazione San Giovanni e la frontiera di Chiasso a bordo di una jeep. Per chi è fuori, non rimangono alternative al cercarsi un riparo di fortuna. C’è chi si sistema a San Rocco o nei pressi della struttura istituzionale, altri invece all’ex chiesa di San Francesco o al Crocifisso. A mettere una pezza a questa situazione è la parrocchia di Rebbio, dove vengono accolte una buona parte delle persone che, altrimenti, sarebbero costrette a dormire all’addiaccio. Ma, come precisa in maniera chiara il parroco don Giusto della Valle, non può essere in nessun modo considerata una soluzione al problema: «Abbiamo aperto le nostre porte – spiega della Valle – perché ogni uomo ha il diritto a dormire in un posto caldo. Non siamo mica bestie. Questa, però, non è in nessuna maniera una soluzione».
Secondo i dati, pubblicati tutti i giorni sotto l’etichetta #accoglienzafredda dai volontari, dall’apertura del centro sono più di 1000 le persone soccorse in strada. La temperatura scende sempre di più e a metà novembre si è andati vicini alla tragedia. Un giovane somalo è stato portato all’ospedale Valduce in stato d’ipotermia dopo aver trascorso la notte in strada. Il ragazzo è stato notato da alcuni volontari, i quali hanno subito coinvolto le infermiere presenti al campo governativo, accorse a prestare i primi soccorsi. Successivamente, dopo un primo controllo, è stata avvisata la Croce Azzurra che ha trasportato il migrante (non registrato al centro) al Valduce. Al pronto soccorso dell’ospedale è stato scaldato e sottoposto a terapia parenterale (attraverso fisiologiche a temperatura aumentata si è provveduto a scaldare l’organismo). Già nel primo pomeriggio, le condizioni erano buone e non sussisteva più l’ipotermia.
Emblematica anche la storia, raccolta da Welcom – osservatorio migranti Como, circa alcuni migranti rimasti fuori dal centro. Domenica 18 dicembre, Caritas e Como senza frontiere hanno consegnato una lettera al sindaco di Como chiedendo, di concerto con la Prefettura, di mettere a disposizione gli spazi dell’ex drop in viale Innocenzo (di proprietà comunale) e l’ex caserma de Cristoforis (di proprietà statale) per chi resta fuori all’addiaccio. Sulla prima proposta, l’assessore alle Politiche sociali Bruno Magatti ha spiegato come, dopo aver effettuato una verifica, gli spazi siano ancora nella disponibilità del Banco Alimentare. «Nel caso venisse concesso – aggiunge Magatti – servirebbero evidentemente alcuni passaggi temporali, la verifica di alcune condizioni di messa a norma e sarebbe necessaria con tutta probabilità un’assegnazione tramite procedura a evidenza pubblica. La questione dei flussi, però, va risolta alla base, e non può farlo il Comune». Intanto, alcuni dei migranti esclusi da via Regina Teodolinda rientreranno all’interno di Emergenza Freddo, il servizio di accoglienza notturna nel periodo invernale per le tante persone italiane e straniere senza dimora della città che non trovano ospitalità in altre strutture in parallelo.
Per fronteggiare il numero sempre più alto di arrivi, il campo è diventato un centro di accoglienza per minori, arrivati a essere fino a 270 (con 374 presenze complessive fra adulti e non, il massimo mai raggiunto). Una metamorfosi rispetto alle intenzioni iniziali. Domenica 18 dicembre, al convegno “A Piedi Liberi”, organizzato da Coordinamento comasco per la Pace, Como senza frontiere e Itinerari migranti, il sindaco Mario Lucini ha parlato della situazione attuale: «Le cifre sono oscillanti, al momento dovrebbero essersi attestate sui 200 minori stranieri non accompagnati, ospitati al campo governativo sulla base del decreto che, in caso di arrivi consistenti e concentrati nel tempo, le Prefetture possono fornire un’accoglienza entro un termine di 60 giorni, dopo dovrebbero passare a noi. Como, al momento, accoglie circa 155 minori stranieri non accompagnati, cui vanno aggiunti 55 italiani. Se, passati i 60 giorni, a questa cifra vanno sommati i 200 ora al centro, è evidente che non sapremmo a che comunità affidarli, prima ancora di reperire le risorse per garantire un’accoglienza doverosa. È una preoccupazione importante, da affrontare a livello normativo».
Ha sconvolto buona parte della città l’episodio avvenuto sabato 11 dicembre: all’interno di un container della struttura, un ragazzino eritreo di 16 anni ha tentato di togliersi la vita. Secondo alcune ricostruzioni, il minore si sarebbe chiuso all’interno di un container e, aiutandosi con la felpa e la corda della tuta, avrebbe cercato di farla finita. È stato salvato da alcuni amici che, sfondando la porta e la finestra, sono intervenuti appena in tempo. A quel punto, dopo essere stato portato in infermeria per una ventina di minuti, è stato trasferito da un’ambulanza all’ospedale di Cantù. Sul posto anche le forze dell’ordine. Il fatto pone ancora di più l’attenzione sul centro, nato come luogo per adulti e diventato per esigenza, piano piano, uno spazio destinato – ma non attrezzato – all’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
Intanto, la pressione alla frontiera continua a restare importante: l’amministrazione federale della dogana ha diramato i numeri circa i respingimenti effettuati quest’anno da gennaio a novembre (compreso): in Ticino la cifra è altissima, si supera abbondantemente quota 31mila persone, quasi tutti concentrati da luglio a oggi. Il treno è sempre il mezzo più utilizzato, ma alcuni ci provano pure a piedi, passando per la ”frontiera verde”, magari con l’aiuto di qualche “passeur”, oppure per l’autostrada. Nell’ultimo periodo (ma non solo) alle Guardie di Confine svizzere è capitato diverse volte di fermare gruppi di migranti sull’A2, all’altezza dei ripari fonici. In un’intervista al quotidiano La Provincia di Como, il comandante della Regione IV delle Guardie di Confine Mauro Antonini ha fissato i tentativi d’ingresso illegali in treno all’85% e al 15% i restanti: quest’ultima percentuale sarebbe costante da qualche mese.
Uno dei possibili passaggi scelti è nella zona del Breggia, dove, complice il filo spinato abbassato e una scala di ferro già presente, è piuttosto semplice raggiungere l’autostrada. «Abbiamo un dispositivo – prosegue Antonini – lo stesso di quest’estate, in grado di garantire la sicurezza e l’incolumità sulla strada. La dogana e la zona circostante sono presidiate, se notiamo movimenti interveniamo e riusciamo a bloccare le persone». Per quanto riguarda i respingimenti «se si conferma il trend – conclude Antonini – il 2016 sarà un anno particolare. La pressione sulla frontiera continua a essere costante, mentre gli altri anni, complice l’abbassamento delle temperature, in autunno e inverno i numeri diminuivano. Per le riammissioni, in azione dalle 7 alle 24, il dispositivo messo a punto funziona bene e la collaborazione con le forze italiane è sempre ottima». A metà novembre, invece, un gruppo di migranti ha tentato di entrare in Svizzera seguendo a piedi i binari del treno e bloccando a lungo il traffico ferroviario. L’allarme è scattato nel tardo pomeriggio, quando alla polizia è stata segnalata la presenza di alcune persone all’interno della galleria tra Como e Chiasso, a Monte Olimpino. Nessuno si è fatto male, ma con l’arrivo della stagione invernale e l’aumento delle ore di oscurità, salgono i tentativi di passare la frontiera in maniera alternativa. «La disperazione è più forte della paura», ha detto un testimone presente sul treno. Una sintesi efficace di quanto successo.
Il Comune, a fine novembre, ha scritto una lettera agli allora presidente del consiglio Matteo Renzi e ministro dell’Interno Angelino Alfano. «La nostra città, collocata all’estremo confine settentrionale del Paese, non è un luogo di sbarco. Ne consegue che, per la stragrande maggioranza, coloro che qui convergono dovrebbero essere già foto-segnalati» spiegano Lucini e Magatti, e proseguono:«Se è vero, come a noi pare, che un territorio (nella fattispecie della città di Como) si rivela particolarmente attrattivo […] occorre allora sostenere in modo più efficace le politiche di distribuzione sul territorio nazionale». E se il sistema, conclude la lettera, non funziona, non può essere Como a risolvere e affrontare da sola il problema.
Copertina: L’ingresso del centro di via Teodolinda. Foto: Mattia Vacca