«Un centinaio di migranti provano a scavalcare il muro di Melilla» (18 febbraio). «Undici immigrati salvati dopo il ribaltamento sua barca nello stretto di Gibilterra» (18 febbraio). La Spagna sembra una frontiera dimenticata, lontana dalla tragedia della crisi dei rifugiati del 2015 e di questo primo scorcio del 2016. Le notizie arrivano ancora, certo, eppure basta confrontare i numeri dei profughi arrivati in Spagna nel 2015 per rendersi conto di quanto sia divenuto piccolo oggi il flusso verso la penisola iberica.
Un milione gli arrivi via mare in Europa nel 2015, qualche migliaio in Spagna. Un milione e 300mila le richieste d’asilo, solo 13mila a Madrid. Come è possibile che l’unico paese europeo che confina via terra con l’Africa – grazie a Ceuta e Melilla, le due enclave spagnole in Marocco – non sia stato investito dal flusso di profughi e migranti arrivati lo scorso anno?
Non se ne parla, i riflettori dei media sono rivolti – comprensibilmente – altrove. E tuttavia esiste ancora un piccolo, continuo flusso che prova a passare le colonne d’Ercole scappando dall’Africa. O, per meglio dire, resiste ancora. Già, perché in una decina d’anni la rotta migratoria sudoccidentale è stata pressoché abbandonata e non per caso. La guerra in Siria ha ovviamente stravolto tutti gli indicatori statistici, tuttavia le ragioni per il calo dei migranti diretti in Spagna ha anche altre ragioni oltre il naturale succedersi delle rotte migratorie.
Tutto questo in un paese che ha avuto, certo, una storia di immigrazione dall’America Latina ma che negli ultimi 25 anni – al pari dell’Italia – è stata meta di un flusso costante dall’Africa. Immigrati che nel complesso oggi rappresentano, secondo i dati Ine, circa il 10% della popolazione spagnola (4 milioni 460mila su 46 milioni di abitanti).
La rotta per le isole Canarie
«L’ottima cooperazione tra Spagna, Senegal, Mauritania e Marocco ha ridotto in maniera significativa la pressione sulla rotta che porta verso le isole Canarie e il sud della Spagna». Così si legge nell’ultimo rapporto Frontex-Afic (dicembre 2015). Una cooperazione – altresì detta “esternalizzazione delle frontiere” – che in questi anni sta dando i suoi frutti: meno ingresso di irregolari, più rimpatri per coloro che ce l’hanno fatta a superare il confine continentale. Accordo quello tra Spagna e Marocco che recentemente ha ricevuto il via libera anche dalla Commissione Europea.
La gestione spagnola delle frontiere meridionali è un laboratorio politico-tecnologico per la sorveglianza dei confini. Fin dal 2000 è in funzione il SIVE (Sistema Integrado de Vigilancia Exterior), un complesso apparato di controllo che elabora i dati ricevuti costantemente dai radar delle navi che operano nel Mediterraneo e nell’Atlantico, i video delle stazioni lungo la costa, le tracce satellitari e aeree. Una forma di monitoraggio capillare che ha trasformato la Spagna in un esempio per molti.
Solo 10 anni fa le Canarie erano la principale porta d’accesso all’Europa da sud, più di 30mila sbarcavano sulle isole nel 2006. Oggi i flussi sono cambiati e solo in poche centinaia provano a fuggire attraverso la rotta occidentale. La traversata verso Gran Canaria è troppo pericolosa, i controlli troppo frequenti, e allora i migranti subsahariani si dirigono verso nord, ci provano verso Ceuta e Melilla o dalla costa marocchina settentrionale.
Stando ai dati Frontex, nel 2015 sulle isole atlantiche sono sbarcati meno di mille migranti (315 dalla Guinea, 136 dalla Costa d’Avorio e 85 dal Gambia). Tuttavia, gli ultimissimi dati del 2016 segnalano una riapertura, seppur minima, della rotta canarina.
Ceuta e Melilla, la Spagna in Marocco
«Le recinzioni e il fossato, in combinazione con l’attuazione di un accordo di riammissione tra il Marocco e la Spagna, il rafforzamento delle unità di guardia di frontiera marocchina che proteggono la recinzione e smantellamento dei campi di fortuna dei migranti irregolari, hanno ridotto i numeri di tentativi». È ancora Frontex a parlare e a rivendicare i risultati ottenuti negli ultimi anni. Ceuta e Melilla, le due cittadine spagnole in terra marocchina, sono ormai due fortezze di fatto inespugnabili. Circondate da tre reti alte una decina di metri, da fossati e protette con violenza dalle guardie di frontiera, sono diventate l’emblema della chiusura. A più di 10 anni dal tragico giorno in cui 11 migranti rimasero uccisi dal fuoco delle guardie di frontiera mentre provavano a scavalcare le reti, la violenza non è diminuita. Molte associazioni che si occupano di diritti umani denunciano la violazione dei diritti dei migranti intercettati e respinti direttamente sul suolo marocchino al di fuori di qualsiasi tutela legale.
Il Marocco di Mohammed VI in questi anni si è comportato in maniera simile alla Libia di Gheddafi. Apertura e chiusura dei rubinetti dei migranti come strumento di contrattazione politica. C’è da fare pressione sull’Ue e la Spagna? Si lascia che l’assalto alle barriere di Ceuta e Melilla sia più semplice. L’accordo funziona? Crescono il controllo e la militarizzazione del territorio e dei mari per intercettare i canotti in mezzo all’Atlantico o disperati aggrappati alle reti del confine.
Secondo quanto riporta Bez.es (che cita fonti della Gendarmeria reale del Marocco), nel 2014 18mila migranti subsahariani avrebbero provato a superare le reti che delimitano il confine e più di 12mila quelli respinti via mare, di cui il 75% provenienti da Senegal e Mali.
Oggi crollo degli ingressi di migranti è evidente. Secondo i dati della Guardia Civil (riportati nel rapporto del dicembre 2015 “Ceuta e Melilla, centres de tri à ciel ouvert aux portes de l’Afrique”), nella sola Melilla nel 2014 sono arrivati 2682 migranti provenienti dall’Africa subsahariana e 3566 siriani e algerini. A fine maggio 2015, i migranti africani che sono riusciti a passare le barriere erano solo 252, il numero dei siriani-algerini aveva già raggiunto quello della fine del 2014: 3525.
Numeri non esattamente coincidenti con quelli forniti dall’Unhcr secondo cui nei primi 6 mesi del 2015 i siriani che hanno raggiunto Melilla – circa 5000 km di distanza da Damasco – sono 4049 (su 4849 in totale degli ingressi). Circa 20 volte i siriani arrivati nel 2013 (erano 252).
Chi cerca asilo a Madrid
Secondo quanto riportato da Bez, le stime del Cear (Commissione spagnola per l’aiuto ai rifugiati), la Spagna ha ricevuto 13mila richieste d’asilo a fine 2015 (i dati ufficiali si fermano a settembre), più del doppio che nel 2014, e buona parte dei quali proviene dal centro di identificazione ed espulsione di Melilla.
Secondo gli ultimi dati di Eurostat disponibili, i richiedenti asilo nel 2015 alla fine di settembre erano 10295 di cui circa la metà (4390) siriani. Il picco più elevato di richieste la Spagna lo ha avuto nel mese di settembre quando in 1425 hanno fatto richiesta d’asilo. Per avere un punto di riferimento, nello stesso mese in Italia erano dieci volte di più: 11.195. Nel complesso, i richiedenti asilo in Spagna nel 2015 sono circa un sesto di quelli in Italia.
Da notare che il secondo paese per numero di richiedenti asilo sia l’Ucraina, che come la Siria dista migliaia di chilometri dalla Spagna. È verosimile che una fetta significativa delle migliaia di ucraini che ha fatto richiesta per lo status di rifugiato non sia arrivata nel 2015 ma si trovasse già in Spagna e con il precipitare della situazione a Kiev abbia deciso di provare a ottenere una regolarizzazione attraverso l’asilo.
A dimostrare che il fattore immigrazione ha cambiato segno a Madrid in questa stagione, c’è anche la vicenda della cosiddetta “relocation” dei rifugiati. Nel piano partorito dall’Ue nell’autunno scorso per redistribuire tra i 28 stati una quota di profughi, la Spagna ne avrebbe dovuti accogliere circa 15mila provenienti dall’Italia e, soprattutto, dalla Grecia. Si badi: “accogliere”, non “inviare”. Da paese di immigrazione a paese che accoglie profughi giunti altrove. Il cambiamento è evidente.
Che poi oggi di rifugiati in Spagna ne siano stati spediti solo poche decine è un fatto. Ma questa è un’altra storia.
Twitter: @alessandrolanni