“Mamma mi ha promesso che non avremmo più dormito nel bunker, io voglio dormire nel mio letto, non voglio nascondermi dalle bombe”.
A parlare è la figlia di Marina Isaeva, 39 anni,che insieme a sua madre è ormai al sicuro a Wroclaw, in Polonia. Marina ha lasciato Kiev il giorno dopo l’inizio della guerra, il 25 febbraio.
“Grazie all’aiuto e all’accoglienza della famiglia polacca, mia figlia tornerà a scuola martedì”, mi ha detto Marina. Quando le chiedo se il cambiamento della lingua sarà un problema, mi spiega che l’ucraino e il polacco sono abbastanza simili e che i bambini si adattano rapidamente.
Il marito di Marina non è potuto invece scappare con loro perché si era unito alle forze armate ucraine.
“Non so dove sia e cosa stia facendo. Gli parlo su Telegram, qualche minuto la mattina e qualche minuto la sera, a volte gli mostro la bambina con la videocamera. Io parlo, lui ascolta, tutto qui. Non gli è permesso dirmi nulla”, mi spiega.
Quando ha sentito la prima esplosione vivevano in un appartamento al 16° piano, sul lato orientale di Kiev, vicino al fiume Niprov, racconta Marina.
“Dopo aver sentito il rumore dei primi bombardamenti, ho preso mia figlia e ho passato la prima notte nel bunker. Mio suocero e mia suocera non sono venuti con noi perché hanno insistito sul fatto che non era niente di grave. Durante la notte ho guardato mia figlia e mi sono accorta che era molto spaventata. Ho seguito il mio intuito, l’istinto. In quel momento ho deciso che all’alba avrei lasciato Kiev”.
Marina viaggia da Kiev a Lviv con solo 20 grivna in tasca perché a causa di problemi con il sistema bancario, non poteva prelevare più contanti dalla carta. Dopo una notte nel bunker di Kiev, Marina ha trascorso una seconda notte nel bunker di Lviv. Da qui ha viaggiato in treno fino al confine con la Polonia, dove finalmente si è sentita al sicuro.
“Appena si è fermato il treno, i polacchi hanno iniziato a far passare cibo, vestiti, prodotti per l’igiene, giocattoli, scarpe attraverso i finestrini. Durante questo periodo, molti parenti si sono trasformati in stranieri, mentre molti stranieri che non avrei mai conosciuto se non fosse scoppiata la guerra, si sono trasformati in parenti ai quali sarò per sempre grata”, conclude Marina.
Anche Tanja Bondarchuk è riuscita a scappare dalla guerra e a raggiungere la Romania con il suo bambino di due anni. Prima del 24 febbraio viveva a Irpin e faceva la fornaia.
“Ero spaventato a morte quando sono iniziate le esplosioni e l’intera casa tremava. Non avevo un posto dove nascondermi con il bambino perché non abbiamo una cantina. Non ho dormito per due giorni di seguito”.
Confessa di aver preso la decisione di partire dopo aver sentito le potenti esplosioni all’aeroporto di Gostomel, che è vicino a casa sua. Tanja ha viaggiato da sola e con il bambino per cinque ore nella città di Zhytomyr dove vive la famiglia di suo marito e poi suo suocero l’ha accompagnata a Chmelnitsky.
“Mio marito era negli Stati Uniti per lavoro ed è venuto direttamente in Romania, a casa di alcuni amici dove siamo temporaneamente alloggiati. Ha scelto di stare vicino alla sua famiglia e di non andare in guerra”, mi spiega.
Gli unici uomini infatti a cui è consentito attraversare il confine ucraino sono gi migranti. Juan Victor Aguilar, 37 anni, dal Perù si è trasferito con la sua famiglia a Cracovia, in Polonia. Insieme alla moglie ucraina e al figlio, ha vissuto a Rivne per cinque anni.
“Ci ho messo molto per attraversare il confine, perché nello spazio terrestre tra Ucraina e Polonia c’è un orrore. Ci sono tre posti di controllo e ogni attraversamento richiede almeno due giorni”, dmi spiega.
Dall’altra parte del confine ci sono polacchi che aspettano i rifugiati e li accompagnano in macchina in qualsiasi città vogliano trasferirsi. Alcuni offrono passaggi anche verso la Repubblica Ceca, in Romania, in Ungheria o ovunque tu voglia andare.
“Stiamo valutando il fatto di restare qui, ma se richiediamo lo status di rifugiato sarà difficile trovare lavoro. L’altra opzione è trasferirmi in Perù perché quello è il mio Paese natale e lì avrei più opportunità, ma l’idea è quella di tornare in Ucraina il prima possibile e non so se vale la pena trasferirsi così lontano”.
Crede ancora nella pace Juan e nella ricostruzione:
“Non ho perso la speranza, tutto può essere ricostruito, ma non posso negare di aver avuto un forte shock, servirà sicuramente molto tempo per riprendersi”, conclude.
In copertina: viaggio in treno durante la fuga da Kiev. Tutte le foto nell’articolo ci sono state concesse dagli intervistati.