Un processo per una strage senza colpevoli. Le domande a cui non si è trovata risposta sono moltissime, a partire da quanti sono i dispersi. Il dato ricorrente, ormai, è 268 (di cui 60 bambini), ma gli unici numeri certi riguardano le 212 persone tratte in salvo e le 26 salme raccolte dal ventre del mare. Quel giorno, il passeggero che chiama la Capitaneria di porto chiedendo soccorso, Mohammed Jammo, può solo stimare che a bordo del peschereccio che da Zuwara è partito per Lampedusa il 10 ottobre 2013 ci siano fra le 300 e le 400 persone. Un aereo maltese che sorvola la scena comunica al Rescue coordination center (Rcc) di Malta, il centro di coordinamento delle operazioni di salvataggio dell’isola, che a bordo del barcone i migranti sono circa 250. Questa strage, oltre che senza colpevoli, al momento è anche senza parte delle vittime. Se si cerca una verità giudiziaria, il merito è proprio di Mohammad Jammo, che insieme ad altri due medici a bordo della nave, Mazen Dahhan e Ayman Mostafa, ha fatto un esposto. Tutti e tre hanno perso dei figli nel naufragio.
La cronaca – per quanto possibile – dei fatti
Ore 12.26 dell’11 ottobre, il giorno del naufragio. Mohammed Jammo, medico siriano fuggito da Aleppo, chiama per la prima volta Il Maritime rescue coordination center italiano (Imrcc), il centro di coordinamento delle operazioni di salvataggio con sede nella Capitaneria di porto a Roma: “stiamo imbarcando acqua, siamo in pericolo, aiutateci”. Nella notte due imbarcazioni libiche, spiega Jammo al telefono, hanno sparato loro addosso. Le conversazioni integrali tra l’uomo e la Guardia costiera si possono sentire in un lavoro di Fabrizio Gatti, “Un unico destino”. Si sente l’ufficiale prendere tempo e dire di chiamare Malta. Le telefonate si ripetono di frequente: alle 12.27, 12.39, 12.40. A posteriori, è facile stabilire che in quel momento l’insistenza sia dovuta a un pericolo terribilmente concreto. Le risposte date al medico sono evasive. In alcuni casi anche scorrette: “siete più vicini a Malta”, gli viene risposto. Non è così e anche Jammo lo sa: glielo comunicano proprio i maltesi, che ha prontamente chiamato non appena gli è stato fornito il numero. Per questo si rivolge un’ultima volta all’Italia, alle 13.17. “Venite, stiamo morendo”, implora con voce concitata.
Da Roma, anche dopo quell’ultima telefonata, mantengono la posizione: “Devi chiamare Malta”. Da 17 minuti l’isola era ufficialmente competente per l’operazione di salvataggio, e alle 14.35 un fax recapitato all’Imrcc conferma che il coordinamento è gestito da Malta. Per quanto il peschereccio si trovi a 61 miglia dall’Italia e 116 da Malta, la zona di Search and Rescue (Sar) – tratto di acque internazionali dove si effettuano operazioni di salvataggio – è di competenza maltese. Infatti, come già abbiamo scritto, Malta si è intestata in modo unilaterale la competenza su una Sar zone troppo grande per i suoi assetti. E l’Italia deve sempre supplire alle sue mancanze, dicono gli imputati durante gli interrogatori. L’isola ha anche inviato un altro pattugliatore alle coordinate fornite dal dottor Jammo: non ci sono dubbi che la presa in carico delle operazioni sia reale.
Fra le 13 e le 13.57 la Capitaneria romana allerta tutte le navi nella zona e il Comando in Capo della Squadra Navale (Cincnav), il braccio operativo dello Stato Maggiore della Marina, che ha il compito di gestire navi in mare e aerei a bordo delle portaerei. Alle 13.34, il più alto ufficiale in grado, Luca Licciardi, alla richiesta di un sottoposto se mandare o meno il pattugliatore Libra sul posto, risponde “ancora no”. Il mezzo militare si trova a 27 miglia dalla posizione del barcone. Con una velocità di crociera di 20 nodi, potrebbe raggiungerlo in un’ora e mezza. Ma al momento, nonostante i messaggi di Jammo, nelle sale operative di Cincnav e Imrcc non c’è ancora la percezione di un pericolo imminente, secondo quanto riportano agli inquirenti gli ufficiali coinvolti nell’operazione.
Alle 14.50 la Capitaneria di porto romana risponde via fax a Malta indicando le tre navi più vicine alla posizione del barcone in pericolo: Libra e due mercantili. Alle 15.12 Malta comunica che sta mandando un Maritime patrol aircraft (Mpa), un aereo da perlustrazione: al comando c’è George Abela, che oggi non fa più parte dell’aeronautica maltese. Venti minuti più tardi, dal comando della Marina Militare consigliano a Libra di tenersi a circa un’ora di distanza dalla posizione dei migranti, e infatti Libra, che era impegnata in una missione militare di pattugliamento, resterà fra le 17 e le 19 miglia. In quella zona è in corso da anni la cosiddetta “guerra del pesce”: i pescherecci italiani vengono spesso assaliti da imbarcazioni tunisine o libiche, e a volte anche sequestrati. Quest’informazione viene comunicata anche a Malta: il Gip riferisce che nella comunicazione dell’Imrcc al Mrcc di Valletta si diceva che “la nave militare italiana era un assetto importante per identificare nuovi bersagli” (intendendo quindi, spiega, che fosse meglio non muoverla), ma anche che “se quella di spostare nave Libra era l’unica soluzione, allora potevano utilizzarla”. L’ufficiale più alto in grado in quel momento è Leopoldo Manna, capo del terzo ufficio della centrale operativa della Capitaneria di porto.
Alle 17.04 all’Imrcc arriva un fax da Malta: Libra deve spostarsi per verificare la situazione del peschereccio in avaria. Leopoldo Manna dà comunicazione a Luca Licciardi del Cincnav. Solo tre minuti dopo, il barcone si ribalta: a quel punto, nel giro di sette minuti, Libra, che era già diretta sul luogo, è informata della tragedia. Intorno alle 18, è sul posto e mezz’ora dopo Malta la nomina nave che coordina le operazioni sul campo.
Gli argomenti pro e contro gli imputati
Al momento della richiesta di archiviazione della Procura, c’erano sette persone imputate, ufficiali e sottufficiali di Marina Militare e Guardia Costiera. Ne sono rimaste tre: per le altre la posizione è stata archiviata. Tra queste ultime c’è anche l’imputato più alto in grado, l’ammiraglio Filippo Maria Foffi, 64 anni, all’epoca comandante in capo della Squadra navale della Marina. Oggi in pensione, è stato l’uomo alla guida di Mare Nostrum, l’operazione umanitaria condotta dalla sola Marina militare italiana che ha portato al salvataggio di oltre 100 mila persone. E che per Mare Nostrum si è molto speso. Nel processo, invece, è stato accusato – come gli altri – di omissione di soccorso e omicidio colposo con dolo eventuale. Le altre posizioni archiviate coinvolgono due ufficiali della Guardia Costiera (Clarissa Torturo e Antonio Miniero), in posizione subordinata come il capitano di fregata Nicola Giannotta del Cincnav, che ha semplicemente passato degli ordini alla nave Libra.
Ancora indagati sono invece la comandante di nave Libra, Catia Pellegrino, il comandante del Cincnav Luca Licciardi e il capo del terzo ufficio dell’Imrcc Leopoldo Manna. La loro difesa ha insistito che quest’operazione doveva essere condotta dal Rcc di Malta e non dall’Italia, e, secondo il Gip che riporta la posizione della difesa, l’obbligo di intervento scattava solo dopo il ribaltamento della nave con a bordo i migranti. Perciò i vertici di Capitaneria e Marina non sarebbero responsabili dell’incidente. Il Gip definisce queste impostazioni “poco persuasive” perché da un lato riconosce una fedele adesione ai protocolli internazionali e alle convenzioni sul soccorso in mare fino alle 16.22, ma dall’altro, dopo quell’orario, ravvisa la “mancata tempestiva emissione” di due ordini: mettere a disposizione la nave Libra per i salvataggi e procedere in autonomia per evitare che vengano messe a repentaglio le vite dei migranti. Questo è il passaggio chiave per capire il motivo della mancata archiviazione di Pellegrino, Manna e Licciardi. La procura adesso ha 30 giorni per formulare una nuova accusa sugli ultimi due: questa disposizione del Gip si chiama “imputazione coatta”.
Per Catia Pellegrino, comandante del pattugliatore Libra P402, il Gip ha chiesto invece nuove indagini. L’accusa di omesso soccorso è paradossale per una donna che è stata il volto della Marina Militare durante Mare Nostrum, quando nave Libra era impegnata nella missione umanitaria che aveva come unico scopo proprio il salvataggio dei migranti in mare. Mare Nostrum venne annunciata dal primo ministro Enrico Letta proprio dopo l’incidente dell’11 ottobre, e durò circa un anno. La Rai ha celebrato questa missione con una docufiction, “La scelta di Catia”, che vede protagonista proprio il comandante Pellegrino.
Secondo la memoria dei legali dei medici siriani, l’aereo maltese che sorvolava il luogo della strage “aveva inoltrato numerose segnalazioni sul canale 16 di emergenza, senza ottenere alcuna risposta da nave Libra”. Richieste che però avrebbero potuto sentire anche le altre navi sintonizzate sul canale 16 ma di cui non c’è traccia nell’ordinanza del Gip. Proprio per questo il Gip chiede ulteriori verifiche. Dell’episodio scrive Fabrizio Gatti, giornalista de l’Espresso, in un pezzo in cui racconta i contenuti di un rapporto segreto della Armed Force of Malta, in cui si riporterebbero i tentativi di contattare la nave Libra dall’aereo. Arturo Salerni, avvocato dei tre sopravvissuti insieme ad Alessandra Ballerini ed Emiliano Benzi, sottolinea che dal loro punto di vista c’è una grave lacuna investigativa, dato che non è nemmeno stata inviata una rogatoria a Malta. Per questo ancora oggi non si sa se i messaggi fossero stati effettivamente recapitati alla nave Libra oppure no.
Nell’ordinanza, il Gip Giorgianni definisce “fortemente critica” la posizione degli ufficiali del Cincnav. Visto l’ambito militare, la responsabilità ricade sul più alto in grado, il comandante Luca Licciardi. È lui a ordinare alla Libra, attraverso il capitano di fregata Giannotta, “che non deve stare tra i coglioni quando arrivano le motovedette [maltesi]”. Farsi vedere, secondo Licciardi, farebbe invertire la marcia alle motovedette maltesi: è ciò che gli dice l’esperienza.
Infatti aggiunge: “Te lo [pattugliatore Libra] chiami al telefono, oh stanno uscendo le motovedette, non farti trovare davanti i coglioni delle motovedette che sennò, questi se ne tornano indietro”. Così Liccardi, si legge nell’ordinanza, “impone che nave Libra si defili dal prevedibile percorso del mezzo marittimo di soccorso maltese onde non rivelare la sua posizione alle Autorità che in quel momento coordinavano le operazioni di salvataggio”. C’è poi l“ancora no” detto a un sottoposto alle 13.34: la motivazione appare al giudice “non del tutto persuasiva”, dato che i due mercantili che dovevano essere più vicini ai migranti vengono dopo poco dirottati su Malta oppure sono troppo distanti per intervenire.
Malta, il convitato di pietra
Il processo si prospetta ancora lunghissimo. L’archiviazione delle accuse contro l’ammiraglio Foffi può essere letta come la caduta delle accuse contro la Marina militare nel suo complesso, un fatto positivo. Ma restano responsabilità individuali, insieme a un enorme vuoto nella ricostruzione del modo in cui Malta ha coordinato l’intervento. Per una volta che Malta non si è sottratta ai propri doveri, è accaduta una strage. Per i legali dei siriani, il motivo è che l’Italia non ha seguito gli ordini a dovere.
Invece per gli avvocati della difesa il motivo è da riscontrarsi altrove. Per esempio in come l’aereo comandato dal pilota George Abela ha condotto le operazioni di sorvolo della zona dell’incidente. Sempre nel suo interrogatorio, riporta il Gip, Catia Pellegrino ha infatti ipotizzato quale sia il motivo del cappottamento del peschereccio: i migranti si sono sbracciati all’arrivo dell’aereo per farsi vedere e quel movimento ha inclinato l’imbarcazione, che poi si è ribaltata. A giudicare dalle immagini e dalle parole degli ufficiali della Rcc maltese, il peschereccio si rovescia, non affonda. Di nuovo, le visioni degli avvocati sono agli antipodi: per i legali dei siriani questo non toglie che la Marina italiana avrebbe potuto agire in ottemperanza alle convenzioni internazionali con largo anticipo, evitando ogni pericolo per chi stava a bordo. Che la situazione fosse grave, infatti, era chiaro da tempo. Per la difesa dei militari, invece, il ruolo dell’aereo maltese scagionerebbe in pieno l’Italia: se fosse stato più accorto, questa tragedia non sarebbe successa.
In particolare, c’è un buco nella cronologia di questa tragedia che così diventa più importante, e che potrebbe scriverne in futuro la storia giudiziaria. Cos’è successo tra le 16.22, ultimo orario indicato dal Gip in cui Imrcc e Marina hanno seguito per filo e per segno i protocolli internazionali, e le 17.07, momento in cui la nave è affondata? In questi 45 minuti in cui gli ufficiali italiani hanno preso tempo e non ottemperato in pieno ai loro doveri (stando al Gip), cos’hanno fatto i maltesi? Entrambe le eventuali risposte non riporteranno indietro le vittime. Ma i processi si fanno su capi d’imputazione e responsabilità penali: ritardare un intervento non è per forza paragonabile a provocare la morte di qualcuno. E il motivo per cui quella nave si è ribaltata è certamente tra le cause del naufragio. È stata solo l’acqua che è entrata dai fori dei proiettili libici nello scafo, o c’è dell’altro? Non è irrilevante: a quel punto, stando alle conclusioni tratte dal Gip attuale, che non è detto vengano condivise poi dal giudice dell’eventuale processo, si tornerebbe a quei fatidici 45 minuti.
Il rischio concreto è quello di raggiungere una soluzione giudiziaria tanto scontata quanto insoddisfacente: a provocare questa strage è stata la burocrazia, il rimpallo fra due autorità, maltesi e italiane, che hanno, comunque, rispettato le leggi. “Strage per burocrazia”.
Foto di copertina: Stefanie Eisenschenk, 2015 (CC BY 2.0).