Non ci sono siriani e neanche afghani o iracheni. Nella classifica delle richieste d’asilo presentate in Italia nel 2015 non ci sono le nazionalità che compongono il grande flusso proveniente da est e che fino a qualche mese fa ha attraversato l’Europa sulla cosiddetta “rotta balcanica”. I profughi che hanno cercato protezione nel nostro paese lo scorso anno sono in buona parte africani, vengono da paesi che conosciamo poco o nulla (il Gambia, il Mali) considerati migranti di serie b e di fatto esclusi dalle decisioni politiche europee.
La fotografia che emerge dai dati sulle decisioni in prima istanza rilasciati da Eurostat è netta. A fronte delle oltre 70mila decisioni prese (su circa 85mila richieste d’asilo) più della metà (41.730) sono i dinieghi. I rifugiati veri e propri arrivati in Italia nel 2015 – quelli a cui si è riconosciuta la protezione così come indicato dalla Convenzione di Ginevra del 1951 – sono appena 3.575, circa il 5% una percentuale in calo rispetto agli anni passati.
Il grosso delle decisioni positive si compone di protezione sussidiaria (10.270) e umanitaria (15.770). Cifre che verosimilmente potranno aumentare dopo la fase dei ricorsi dei richiedenti asilo bocciati.
In cima alla classifica c’è la Nigeria con poco meno di 20mila domande in Italia nel 2015 e quasi 13mila risposte da parte delle commissioni territoriali. A seguire Pakistan e Gambia, paesi con tassi di riconoscimento che in Europa oscillano tra il 25 e il 30% e con una percentuale di no superiore al 50% anche nel nostro paese.
Un aspetto interessante delle considerazioni sugli esiti delle richieste d’asilo è quello che riguarda le decisioni per genere. Uomini e donne provenienti dagli stessi paesi hanno percentuali analoghe di riconoscimento dell’asilo o più in generale di protezione internazionale? La risposta è no.
Come abbiamo già visto su Open Migration, gli arrivi via mare in Italia sono perlopiù maschili. Stando alle richieste d’asilo presentate nel 2015 esistono solo due nazionalità che hanno una quota femminile consistente: Nigeria e Ucraina.
Nel complesso per i nigeriani e le nigeriane gli esiti positivi alle domande di protezione internazionale sono crollati in pochi anni. Nel 2012 – anno in cui ci fu il picco più alto prima del 2015 di richieste d’asilo dal paese africano – la percentuale di riconoscimenti era molto più alta: circa il 70% per le donne e addirittura l’85% per gli uomini. Ora, la situazione è capovolta. Sono le donne, con il 45% di risposte positive (pari a 1045 su 2300 richieste), a essere più protette rispetto agli uomini che raggiungono il 25% (ovvero 2695 sì su 10290 richieste esaminate). Quali le ragioni di questa differenza di trattamento?
Secondo Enrica Rigo, direttrice della Clinica del Diritto, dell’Immigrazione e della Cittadinanza dell’Università di Roma 3, le ragioni possono essere di vario genere. «Innanzitutto è presumibile che le richieste di asilo di donne nigeriane nel 2015 si riferiscano a un gruppo pressoché omogeneo. Appena sbarcate, provenienti dalle zone povere del Sud, bassa scolarizzazione. Insomma, quelle che l’Oim definisce potenziali vittime di tratta. Mentre per gli uomini è possibile che la situazione sia diversa».
Poi c’è anche un elemento legale che può aiutare a spiegare il diverso tasso di riconoscimento tra donne e uomini nigeriani. «Nel 2014 – spiega la docente di Filosofia del diritto – è stata introdotta una modifica al D.Lgs 251 del 2007, art. 8, per cui le “considerazioni di genere” e l’”identità di genere” devono essere tenute in considerazione ai fini della determinazione del gruppo sociale di appartenenza». È possibile, ma non certo aggiunge la studiosa, che ciò abbia permesso una tutela migliore delle donne che hanno subito violenze. A questo si aggiunge anche l'”uso” della protezione umanitaria come canale parallelo per la protezione sociale delle vittime di tratta.
Per quel che riguarda l’Ucraina, conclude Enrica Rigo, «una delle ragioni è la guerra ma anche il fatto che, a decreto flussi di fatto chiuso da anni, le richieste di protezione si riferiscono probabilmente a persone che in molti casi si trovavano già in Italia e vi lavoravano». E, come è noto, si tratta molto spesso di donne che lavorano come badanti o infermiere.
Twitter: @alessandrolanni