1. “Vade retro Salvini”
«Come pastori non pretendiamo di offrire soluzioni a buon mercato. Rispetto a quanto accade non intendiamo, però, né volgere lo sguardo altrove, né far nostre parole sprezzanti e atteggiamenti aggressivi. Non possiamo lasciare che inquietudini e paure condizionino le nostre scelte, determino le nostre risposte, alimentino un clima di diffidenza e disprezzo, di rabbia e rifiuto».
Così si legge nell’editoriale di Famiglia Cristiana che accompagna la copertina del nuovo nuSavianomero: il titolo “Vade retro Salvini” è stato al centro di numerose polemiche la scorsa settimana. Ma lungi dal paragonare il ministro dell’Interno a Satana, il numero del settimanale coglie l’occasione per fare il punto sull’impegno della Chiesa italiana e, nei giorni successivi, anche per raccogliere alcune delle reazioni pro e contro alla controversa copertina.
Dopo l’appello di Roberto Saviano alle figure pubbliche, sembra che il mondo cattolico – e le sue contraddizioni – siano al centro del dibattito e del tentativo di opporsi alle politiche del nuovo governo. “Disobbedienza, i cattolici sono più avanti della sinistra” titola un commento del Manifesto. E anche il Washington Post nota la presa di posizione, definendo la Chiesa cattolica come la voce più decisa contro le attuali politiche migratorie – nella lacerazione di avere molti sostenitori tra gli elettori dei partiti di governo.
2. Italia-Libia: al voto sulle motovedette (mentre si parla con gli USA)
Italia-Libia: i rapporti tra i due paesi sono sempre al centro delle discussioni sulla gestione della migrazione. Oggi il premier italiano Conte incontrerà il presidente USA Trump, a cui proporrà una partnership tra i due Paesi nel Mediterraneo, con il coinvolgimento dei rispettivi ministri degli Esteri e della Difesa.
La scorsa settimana il Senato ha votato a maggioranza quasi totale a favore di una nuova assegnazione di motovedette alla Guardia Costiera libica. Solo 3 i voti contrari, tra cui quello di Emma Bonino: “La mobilità è globale e non la fermerete certamente voi” ha detto nel suo intervento al Senato. Quel voto ha rafforzato la convinzione, amara, di essere soli contro (pressoché) tutti, scrive Umberto De Giovannangeli facendo il punto delle reazioni di associazioni e Ong che lavorano sul tema (ma anche rispetto alle esternazioni del ministro Salvini su asilo e protezione umanitaria. La palla passa ora alla Camera, al voto questa settimana.
“Gli sforzi dell’Ue nel bloccare soccorsi, e le esitazioni su dove far sbarcare le persone tratte in salvo, sotto la spinta della linea dura e senza cuore dell’Italia, stanno portando a più morti in mare e a maggiori sofferenze in Libia” scrive Judith Sunderland, direttore associato per Europa e Asia centrale a Human Rights Watch. In una visita in Libia ai primi di luglio, Sunderland ha intervistato le forze della guardia costiera libica, decine di rifugiati e migranti detenuti in centri a Tripoli, Zuara e Misurata, e funzionari di organizzazioni internazionali.
La Libia, intanto, rifiuta l’ipotesi di ospitare centri per le procedure delle richieste di asilo.
3. Ceuta: in 600 riescono a forzare le recinzioni e a raggiungere l’Europa
Secondo quanto riportato in una nota della Guardia Civil spagnola, sarebbero oltre 800 i migranti subsahariani che, alle prime luci del mattino di giovedì scorso, hanno provato a scavalcare la doppia barriera di filo spinato alta 6 metri che separa l’enclave spagnola di Ceuta dal marocco – 600 quelli che effettivamente hanno raggiunto il territorio europeo. Secondo la Croce rossa, nella battaglia con le forze dell’ordine seguita alla forzatura del confine sarebbero rimasti feriti in 150. Una volta arrivati a Ceuta, I migranti si sono diretti al Centro de Estancia Temporal de Inmigrantes (CETI) della città spagnola, che, come riporta El Pais, ospita 1200 persone a fronte di 512 posti.
FOTOGALERÍA | Entre 400 y 600 migrantes subsaharianos acceden a Ceuta tras saltar la valla https://t.co/DWtG74xGH3 [Imágenes de @fotoQuino / EL PAÍS] pic.twitter.com/5SwiWEk7i4
— EL PAÍS (@el_pais) July 26, 2018
4. Storie dal Mediterraneo: l’odissea di Sarost5 e Josefa, salvata da Open Arms
Sabato 28 luglio il governo tunisino ha annunciato che avrebbe consentito lo sbarco della Sarost 5 e dei 40 migranti che da oltre due settimane vi si trovano a bordo.
I migranti erano partiti dalla Libia lo scorso 11 luglio ed erano stati recuperati dalla Sarost 5 il 16, dopo cinque giorni trascorsi senza acqua né cibo a bordo di un peschereccio finito in avaria. La nave appartiene a una società che gestisce una piattaforma di estrazione di petrolio al largo delle coste tunisine: Italia, Malta e la stessa Tunisia si sono rifiutate di accoglierla in questi giorni. La vicenda ha avuto copertura mediatica molto limitata e gli aggiornamenti su una situazione sempre più disperata arrivano da giorni attraverso social media. Al momento in cui scriviamo (lunedì mattina) le notizie sono ancora confuse e lo sbarco sembra non aver ancora avuto luogo.
L’ultima storia di persone salvate è quella di Josefa, che viene dal Camerun. È lei la donna salvata da morte certa dai volontari di Open Arms. Sulla nave era presente anche la giornalista Annalisa Camilli, che ricostruisce la storia della donna e quella del (presunto) mancato soccorso da parte dei guardacoste libici. Riferendosi alla versione fornita dai soccorritori – alla base di una denuncia verso la Guardia costiera libica e il mercantile Triades – il Ministro degli Interni Salvini aveva parlato di “fake news”, promettendo di mostrare le prove di questa falsità. Come ricorda Claudia Torrisi per Valigia Blu – ricostruendo minuziosamente l’intera vicenda – ad oggi queste prove non sono state ancora fornite.
Per il Guardian, le ultime tragiche morti nel Mediterraneo, denunciano i difetti del patto tra Italia e Libia. Come ricorda Lorenzo Borga sul Foglio, oltre a mettere in cattiva luce la Guardia costiera libica, queste vittime fanno vacillare anche un altro pilastro della strategia di Salvini, l’idea che meno partenze significhino meno morti: “Il ministro dell’Interno ha messo in campo una strategia della deterrenza che parte dal blocco dei porti alle imbarcazioni Aquarius, Lifeline, Diciotti (Guardia Costiera) e la nave commerciale danese Maersk. Nel frattempo sono però aumentate le partenze dalla Libia e i morti e i dispersi in mare, un effetto probabilmente involontario ma inevitabile se si peggiorano i rischi del viaggio senza precauzioni”.
Effetto confermato da Marco Bertotto di Medici senza Frontiere secondo cui “boicottare il soccorso in mare ha come conseguenza solo la morte”
5. Le strategie europee per fermare i morti in mare sono destinate a fallire
Se attraversare il Mediterraneo non è mai stato così pericoloso , il numero di chi parte è tra i più bassi di sempre (94% in meno rispetto al picco del 2015). Una condizioni ideale per passare da una gestione emergenziale della migrazione a soluzioni di più ampio raggio. Sembrano non andare in questa direzione le proposte presentate dalle istituzioni europee come le “regional disembarkation platform” – aree in paesi terzi dove sbarcare le persone soccorse in mare e analizzare le domande di asilo. Gli esperti sono scettici, secondo Jørgen Carling e Jessica Hagen-Zanker, le “piattaforme” non solo non dissuaderebbero i trafficanti, ma creerebbero un fattore di attrazione e, cosa più importante, non rispetterebbero i diritti garantiti dai trattati internazionali.
6. Solidarietà in Italia, da Crotone a Mantova
Erano partiti dalla Turchia con un veliero, hanno raggiunto l’Europa sbarcando a Isola Capo Rizzuto, in provincia di Crotone. Si tratta di 56 migranti di origine siriana, curda e irachena, che prima di essere aiutati dai soccorsi della Croce Rossa, hanno incontrato la solidarietà di turisti e bagnanti. Solidarietà che vede protagonisti anche gli abitanti di Castelbelforte in provincia di Mantova. L’intero paese – a guida leghista – si è mobilitato per evitare l’espulsione di Fassar Marcel Ndiaye senegalese privo di permesso di soggiorno in Italia dal 2013. Un membro integrato e molto attivo nella comunità, che come ricorda il parroco del paese: “fa volontariato in varie associazioni, canta nel coro parrocchiale ed è un tuttofare sempre disponibile a occuparsi delle piccole riparazioni necessarie in paese, soprattutto per gli anziani”.
7. Corruzione e migrazione: un’inchiesta sul continente africano
La corruzione costa ai paesi più poveri del mondo oltre mille miliardi di dollari ogni anno. Corruzione che si trasforma in guerra, violazione, fame, costringendo tanti ad abbandonare le proprie abitazioni. Non è un caso se i maggiori flussi migratori hanno origine proprio nei paesi più corrotti. Un’inchiesta in sette capitoli di Valori, ci racconta il costo umano della corruzione nel continente africano.
8. La comunità sudanese di via Scorticabove è ancora in strada
“Dopo 15 anni in questo paese e un percorso di integrazione che abbiamo realizzato da soli, senza le istituzioni ma autorganizzandoci, non possiamo tornare indietro nei centri di accoglienza”. Le parole di Adam – rappresentante della comunità sudanese – arrivano dopo l’incontro con l’Assessora alla Persona e alle Politiche Sociali di Roma Capitale Laura Baldassarre e fotografano le difficoltà di trovare una soluzione abitativa per i ragazzi sgomberati dallo stabile di Via Scorticabove lo scorso 5 luglio. Da allora gli ex occupanti dormono in strada: Eleonora Camilli ci aveva raccontato la loro storia e la mobilitazione dei cittadini romani per aiutarli.
9. Da New york al confine col Messico essere irregolari nell’era Trump
Com’è vivere nella New York dell’era Trump e non avere documenti? The Marshall Project e il New York Magazine hanno contattato oltre cento persone – immigrati, attivisti, avvocati – e si sono fatti raccontare le loro difficoltà, ecco le loro storie che sono quelle di circa mezzo milione di newyorchesi. Fare richiesta d’asilo mi renderà più difficile rivedere i miei figli? Sembrerebbe un’assurdità, ma le politiche di separazione familiare attuate al confine tra Usa e Messico, rendono questa domanda legittima. Non è raro infatti – come documenta il New Yorker – che agenti dell’ICE facciano pressione indebite sui migranti e li costringano a scelte che vanno contro i loro diritti. E in risposta alla sentenza della Corte Federale che ha dato all’amministrazione Trump il 26 luglio come scadenza per riunire le famiglie separate, l’International Rescue Comittee si è mobilitato per dare una risposta rapida e offrire assistenza alle tante famiglie rilasciate dalla custodia dell’immigrazione.
10. Rifugiati o nuovi arrivati? In Olanda si ragiona sulle etichette
Con l’intensificarsi della crisi migratoria, anche in Olanda termini come “rifugiato”, “migrante”, “immigrato” hanno finito per diventare intercambiabili e assumere significato politico. Riferendosi a queste categorie, il leader del partito di estrema destra Pvv, Geert Wilders, ha utilizzato invece l’espressione “invasione islamica”. È forse per prendere le distanze da questa strumentalizzazione dei termini che alcune associazioni – soprattutto quelle che lavorano con persone straniere – hanno iniziato ad utilizzare vocaboli più neutri come “nuovo arrivato”. Per gli attivisti “è un modo più positivo di parlare di questo gruppo di persone”, un’etichettatura come un’altra per la filmaker siriana Razan: “nuovo arrivato o rifugiato o qualsiasi altra cosa. Io non ti chiamo in base allo status che hai. Non ti chiamo cittadino.”
Foto di copertina via Flickr/Dani Villanueva