1. Chiude il centro dell’isola di Manus, “illegale e incostituzionale”
La conferma è arrivata mercoledì: il centro di detenzione dell’isola di Manus verrà chiuso, dopo un accordo tra Australia e Papua Nuova Guinea. Nessuna notizia, però, né sui tempi, né sul destino delle 854 persone al suo interno, se non che non verranno accolte dal governo australiano, scrive Ben Doherty sul Guardian. Della controversa struttura si è parlato anche nei recenti Nauru Leaks (pubblicati sempre dal Guardian) con accuse di abusi e situazioni di privazioni di acqua e cibo. Lo scorso aprile il governo di Papua Nuova Guinea aveva stabilito che Manus è “illegale e incostituzionale”.
2.“Generazione perduta”: i piccoli siriani che non riescono ad andare a scuola
Circa 250.000 bambini siriani che vivono in Libano non stanno ricevendo alcun tipo di istruzione, a causa della guerra e delle sue conseguenze, spiega Bassam Khawaja, fellow di Human Rights Watch. Il Libano – più di un milione di rifugiati su 4 milioni e mezzo di abitanti, la più alta concentrazione al mondo – sta facendo considerevoli sforzi: ha cancellato le rette scolastiche e ha offerto circa 200.000 posti nelle scuole pubbliche per i piccoli siriani. Solo 158.000, però, sono stati utilizzati. Come mai? Le cause sono diverse, come illustrato da un recente rapporto di Human Rights Watch, dai rigidi requisiti per la residenza al costo dei trasporti fino alla scelta di far lavorare anche i più piccoli per sopperire alle condizioni di estrema povertà.
3. Minori in Germania, tra studio e assistenza psicologica
La situazione è nettamente migliore in Germania, ma non semplice: anche qui ci sono molti sforzi per integrare nel sistema di istruzione i rifugiati più giovani, ma dalle infrastrutture alla necessità di assumere ulteriori insegnanti, le difficoltà non mancano. L’investimento del governo tedesco consente a chi studia di acquisire le competenze che gli permetteranno di entrare nel mercato del lavoro, spiega un esperto di migrazione e sviluppo a Yermi Brenner, su Refugees Deeply. Ed è un incentivo anche per i genitori a imparare la lingua e integrarsi. A Saarbruecken, intanto, un centro specializzato offre una terapia intensiva e concentrata ai giovani rifugiati (chiamata START) per aiutarli ad affrontare i traumi di guerra, violenze e privazioni.
4. Flight for Life: la vita dei rifugiati raccontata da studenti
Le storie, le paure, le speranze di un gruppo di rifugiati accolti ad Amburgo, raccontati da studenti di giornalismo. Il risultato è Flight for Life: reportage multimediali creati da 10 gruppi di studenti provenienti da USA, Germania e Russia – una prospettiva che ha unito numerosi background professionali e nazionali, dando ricchezza al progetto che si è concentrato sulle persone e sulle loro vite. Non è giornalismo “veloce”, spiega uno dei coordinatori del progetto, il giornalista e docente Stephan Garnett: tra i vari contenuti, segnala un documentario audio di 15 minuti di una visita a un campo di rifugiati poco fuori Amburgo. L’intervista di Daniel Howden.
5. Nuove e vecchie frontiere
A Como, dove circa 500 persone si sono accampate nel prato davanti alla stazione, sembra che l’amministrazione della città abbia trovato un’area per alloggiarle (pronta da settembre). Nei Balcani prosegue il transito, nonostante la presunta chiusura della rotta a marzo, con proteste a Belgrado – l’analisi di Chiara Milan, su Osservatorio Balcani Caucaso.
6. Dall’Etiopia alla Toscana… una cucina in comune!
Ethnos, sull’appennino toscano, non è un ristorante come gli altri, con una chef etiope e cameriere pachistane. Questo perché si trova all’interno di Villaggio La Brocchi, uno dei centri della Rete SPRAR, gestito dalla Onlus Progetto Accoglienza. Il centro ospita 38 famiglie provenienti da Armenia, Siria, Libano, Nigeria e Kosovo, alcune già in possesso dello status di rifugiato, altre ancora in attesa. Il reportage di Silvia Marchetti su Politico Europe.
7. Rifugiati in Germania: è giusto controllare i social media?
Gli smartphone e i social media sono fondamentali per i rifugiati in viaggio e all’arrivo sulle coste europee (ne abbiamo parlato su Open Migration). Nei giorni scorsi il ministro degli interni tedesco Thomas de Maizière ha annunciato una misura che prevede che i rifugiati accolti in Germania (in seguito all’accordo tra Turchia ed EU) debbano mostrare i propri account social media se non sono in possesso di un passaporto, in modo da accertarne l’identità. Questa misura è già usata da Danimarca, Svezia, Norvegia e Olanda, ma – scrivono Philip Oltermann e Jon Henley sul Guardian – i media hanno anche parlato di casi dove i telefoni di minori non accompagnati sono stati sequestrati e restituiti solo un mese dopo. Sarà una misura efficace? E se – come da recente proposta degli USA – la stessa cosa venisse chiesta a noi quando viaggiamo?
8. Prigioniero in un aeroporto (e no, non è un film)
La vita che imita i film: forse avrà pensato questo Fadi Mansour quando ha guardato The Terminal. “Ma Tom Hanks era libero di andare in giro per l’aeroporto, io ero bloccato in una stanza.” La storia di Fadi Mansour, siriano bloccato all’aeroporto Ataturk di Istanbul dal febbraio 2015 al marzo 2016, è raccontata da Patrick Kingsley sul Guardian. E, per fortuna, ha un lieto fine.
9. La Liberazione di Mosul – e il suo incerto futuro
“La sua liberazione è simbolica perché rappresenterebbe un duro colpo militare all’Is e alla sua immagine, ma servirebbe anche alla coalizione internazionale per verificare la capacità degli iracheni di gestire il paese dopo la fine della guerra.” La liberazione di Mosul è vicina, ma il suo futuro resta incerto, racconta Sara Manisera nel suo reportage per Internazionale.
10. La crisi dei rifugiati in Finlandia: cosa è successo negli ultimi 8 mesi?
Nella seconda parte del 2015 la crisi dei rifugiati aveva toccato anche la Finlandia, con arrivi e richieste di asilo cresciuti esponenzialmente rispetto alla popolazione di 5 milioni e mezzo di abitanti. Nel giro di alcuni mesi, però, 8000 richiedenti asilo hanno lasciato il paese, chi volontariamente, chi a seguito della risposta negativa alla loro domanda, dichiara Esko Repo, a capo del Migri, l’agenzia per le migrazioni finlandese . Ma ci sono anche circa 10.000 persone che, anche dopo un diniego, sono rimaste nel paese. La situazione nel profondo nord Europa, secondo l’Helsinki Times.
FOTO DI COPERTINA: UK Department for International Development / Flickr Creative Commons