Arresti
Secondo i dati raccolti dal Gadem, tra luglio e settembre nelle zone frontaliere del nord del Marocco sono state arrestate 6.500 persone. I fermi avvengono per strada, nei negozi, sui mezzi pubblici, persino nelle case. “Il 12 settembre sono uscito per andare a lavoro, la polizia era fuori dalla mia porta di casa […] Mi hanno strappato il passaporto davanti agli occhi. Non mi hanno lasciato neanche il tempo di mettermi le scarpe”: così un cittadino Camerunense ascoltato dall’associazione.
Tra le persone arrestate ci sono richiedenti asilo, titolari di permesso di soggiorno, donne incinte, minorenni: non importa il loro status giuridico, l’unico elemento dirimente per le forze dell’ordine è il colore della pelle. “Vengono arrestate le persone di origine straniera con la pelle nera”, denuncia il Gadem, esplicitando le operazioni di racial profiling compiute dalla polizia marocchina.
Gli arresti avvengono in modo violento e spesso sono effettuati da agenti in borghese, aumentando la paura generalizzata verso tutta la popolazione marocchina. “Dormivamo nel parco. La polizia è arrivata […] in borghese. […] Ti prendono e ti mandano via […] Abbiamo paura dei marocchini, temiamo che sia la polizia”, ha raccontato un minorenne guineiano.
Allontanamenti forzati
In seguito agli arresti, molte persone vengono allontanate dal nord del paese e condotte verso sud: Tiznit, Beni Mellal, Agadir, Casablanca, Errachidia e perfino Dakhla, 1.950 km da Tangeri. Senza alcuna spiegazione, dopo i rilievi fotodattiloscopici vengono stipate sui bus, spesso con i polsi legati da fascette di plastica. Le condizioni di trasporto sono dure. “Siamo stati presi alle 6 di mattina del 10 agosto, a Tangeri. Alle 14 ci hanno dato pane, insalata e acqua. Siamo partiti e alle 6 di mattina eravamo a Tiznit. Per tutto il tempo trascorso in pullman non ci hanno dato niente da mangiare e non ci hanno fatto scendere. Per urinare ci hanno dato delle bottiglie”, è la testimonianza di un minorenne proveniente dalla Guinea Conakry. “Una donna ha avuto un forte attacco d’asma, noi abbiamo urlato di chiamare l’ambulanza. Quando è arrivata i medici hanno detto che la donna doveva andare in ospedale e che la polizia avrebbe dovuta aspettarla se voleva portarla via. Ma gli agenti non volevano aspettare: hanno mandato via l’ambulanza e riportato la donna nel bus”, ha dichiarato un minorenne togolese.
Molti parlano di casi di corruzione da parte degli autisti o delle stesse forze dell’ordine, che dietro il pagamento di denaro propongono ai passeggeri forzati di scendere dove desiderano. “Ero sul bus l’11 agosto. L’autista chiedeva dei soldi. Se gli davi almeno 50 dirhams ti lasciava in un’altra città. Altrimenti a Tiznit”, racconta un uomo della Guinea Conakry. “Il bus si è fermato a Casablanca, Taroudant e Agadir. Io sono sceso a Agadir. Per scendere a Casablanca servivano 300 dirhams”, spiega un minorenne camerunense.
Detenzione
Come denuncia il Gadem, i commissariati sono diventati luoghi di detenzione: generalmente per il tempo necessario a stipare i bus diretti verso sud, ma anche per giorni o settimane. È il caso delle persone in attesa di rimpatrio forzato, portate presso il commissariato centrale di Tangeri. Qui, in un piano sotterraneo – una sorta di garage chiuso con griglia e transenne, stando ai video e alle descrizioni cui il Gadem ha avuto accesso – le persone attendono per giorni senza ricevere alcuna informazione, nemmeno la notifica del fermo: una situazione totalmente fuori dalla legalità.
“Oggi inizio la mia quarta settimana in questo commissariato e non so qual è la mia condizione”, ha dichiarato un cittadino camerunenese raggiunto per telefono dall’associazione.
Le persone dormono per terra. Non è previsto alcuno spazio per lavarsi, fatta eccezione per un lavandino. Il bagno non è accessibile durante le ore notturne: “Di notte dobbiamo urinare nelle bottiglie. Non c’è sapone, niente per lavarsi”, spiega un altro uomo. Il cibo è scarso: pane, acqua, latte. Un’alimentazione decisamente insufficiente, che crea disturbi al sistema digestivo.
L’assistenza medica è accordata solo in caso di estrema necessità e resta superficiale. “Quando arriva, l’ambulanza rimane fuori. I medici danno le prime cure alla persona malata o ferita. Subito dopo la persona rientra e loro se ne vanno. Questo è tutto”. “Ci sono feriti e malati qui. Molti hanno febbre, tossiscono in continuazione. La polizia ci offende e umilia”.
“Le condizioni fisiche di queste detenzioni – accesso limitato a cibo e servizi igienici, violenze quotidiane, rappresaglie per resistenza alle misure di allontanamento – sono una vergogna per il regno marocchino”: così il Gadem, sottolineando le sistematiche violazioni dei diritti, a cui si aggiunge il fatto che a causa del mancato rilascio delle notifiche di arresto le persone difficilmente possono contestare la detenzione subita e tutte le conseguenze che ne derivano. “Privati di avvocati e interpreti, i migranti hanno accesso ai loro rappresentanti consolari solo per facilitare la loro deportazione”, specifica l’associazione, anticipando un’altra grave misura che il Marocco sta adottando, ossia le espulsioni.
Espulsioni
Nel commissariato centrale di Tangeri, la giornata inizia con un appello. Le persone chiamate vengono prima perquisite nei bagni e private di telefoni e documenti, poi ammanettate e condotte via bus all’aeroporto di Casablanca. Il viaggio, sotto scorta, avviene su aerei di linea, spesso senza manette per non attirare l’attenzione dei passeggeri. Le autorità consolari dei paesi d’origine hanno un ruolo attivo nelle procedure di espulsione: tutte le persone ascoltate dal Gadem parlano di un incontro con un rappresentante dell’autorità consolare del proprio paese, avvenuto presso il commissariato centrale o in un ufficio situato nello stadio di Tangeri. “Ci siamo incontrati con rappresentanti della nostra ambasciata. Siamo stati registrati, ci hanno fotografati”, ha dichiarato il 21 settembre un cittadino camerunense. Stando alle testimonianze raccolte, sembra che per alcuni paesi, come il Camerun, vengano usati dei documenti che lasciano intendere un acconsentimento delle persone a un rimpatrio volontario: “Il foglio che la polizia ti consegna fa intendere alle autorità che hai chiesto un ritorno volontario: tuttavia si tratta di un rimpatrio forzato, in complicità con i rappresentanti dei nostri paesi”.
Su 142 persone arrestate presenti nel commissariato centrale di Tangeri nei mesi in cui il Gadem ha redatto il dossier, almeno 10 erano minori. Sei di loro sono stati rimpatriati, insieme a due richiedenti asilo.
E l’Europa?
“Da anni – scrive il Gadem – l’Unione europea ha deciso, insieme agli stati membri, di mettere in campo tutte le azioni necessarie per mantenere le persone migranti il più lontano possibile dalle proprie frontiere. Tra queste, c’è anche la collaborazione con i paesi di origine e di transito”.
Dopo il blocco della rotta balcanica e con la politica sempre piu chiusa dell’Italia, la Spagna è diventata la principale porta d’ingresso: secondo l’OIM, da inizio anno ad oggi 42.500 persone hanno raggiunto l’Europa passando per la penisola iberica. 433 persone sono morte tentando di farlo. 54.000 sono invece le persone alle quali, stando ai dati governativi, l’intervento di Rabat ha impedito di raggiungere l’Europa. 1.900 le imbarcazioni sequestrate.
L’ultimo fine settimana di ottobre, durante l’undicesima World Policy Conference tenutosi a Rabat, il ministro degli esteri spagnolo Joseph Borell ha confermato l’approvazione da parte dell’UE di un fondo di 140 milioni di euro destinato al Marocco e all’acquisto di materiale – motovedette, sistemi di sorveglianza – da consegnare a Rabat. Un’azione sollecitata a Bruxelles dal primo ministro spagnolo Pedro Sanchez durante il vertice tenutosi qualche giorno prima. L’obiettivo: il “controllo dell’immigrazione irregolare e la lotta al traffico di esseri umani”. Nello specifico, 70 milioni andranno nel giro di breve tempo direttamente nelle casse di Rabat, mentre la restante parte del fondo dovrebbe essere distribuita tra FIIAPP (Fondazione Internazionale e Ispano-Americana per l’Amministrazione e le Politiche Pubbliche, gestita dalla Spagna) e ICMPD (Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie), designati come responsabili della gestione.
“Il Marocco non è il gendarme dell’Europa né le chiede soldi. Ha una propria politica migratoria e intende essergli fedele, esponendola all’Unione e invitandola a collaborare – così il ministro degli esteri marocchino Nasser Bourita, in visita a Parigi il 31 ottobre. Crediamo che i paesi di transito non dovrebbero essere al centro della politica: tutti i paesi di origine, transito e destinazione devono assumersi le proprie responsabilità”.
Le dichiarazioni del ministro ben rappresentano la posizione del Marocco, che oscilla tra una politica repressiva e violenta nei confronti di stranieri e migranti, un ruolo di leader all’interno dell’Unione Africana e una posizione collaborativa ma ferma nei confronti dell’Unione europea e della Spagna in primis: un gioco di equilibrio con cui mira a ottenere il maggior sostegno economico possibile.
Nel mese di dicembre Marrakech ospiterà l’undicesima edizione del Forum globale sulla migrazione e lo sviluppo e la Conferenza internazionale sulla migrazione, durante la quale gli stati membri delle Nazioni Unite discuteranno il “patto globale per una migrazione sicura e regolare”. È in vista di questo incontro che alcune associazioni locali – Association Marocaine des Droits Humains in primis – hanno diffuso un comunicato congiunto per mettere in luce le violazioni in corso in Marocco, evidenziando “il silenzio complice dell’Unione europea”.
In copertina: Jemaa el Fna, Marrakech foto di Karim von Orelli (CC BY-NC-ND 2.0)