Nel 2016 l’Unione Europea e la Turchia hanno iniziato a lavorare di comune accordo per limitare il numero di rifugiati che arrivano in Europa attraverso le isole greche del Mar Egeo. Da allora la dichiarazione UE-Turchia, insieme all’approccio hotspot sperimentato anche in Italia, è diventata la principale politica migratoria dell’Unione adottata in Grecia e ha ridotto in maniera considerevole il numero degli arrivi. Tuttavia, tanto l’approccio hotspot quanto la dichiarazione UE-Turchia hanno finito per creare in Grecia una situazione senza precedenti.
L’approccio hotspot, introdotto per la prima volta nel 2015, fornisce un sostegno d’emergenza a quei paesi che ricevono un alto numero di rifugiato tramite la creazione di centri per l’accoglienza e l’identificazione. Attualmente in Grecia esistono cinque di questi centri, sulle isole di Lesbo, Chio, Samo, Lero e Coo, più un centro chiuso vicino a Orestiada, nella Grecia nordorientale. L’approccio prevede inoltre che, in base alla dichiarazione UE-Turchia, i rifugiati sbarcati sulle isole del Mar Egeo facciano richiesta di asilo sul luogo e lì ne attendano l’esito. Queste due politiche hanno creato una restrizione geografica sul suolo greco dato che, eccettuati alcuni casi, ai rifugiati non è permesso trasferirsi nella Grecia continentale né lasciare le isole sulle quali sono sbarcati originariamente. Benché progettata per limitare la migrazione verso l’Egeo, la dichiarazione UE-Turchia ha prodotto un ritardo enorme nell’evasione delle richieste di asilo, condizioni di vita infernali per chi vive negli hotspot e campi profughi più simili a prigioni a cielo aperto che a centri di accoglienza.
Lesbo: condizioni terribili per i rifugiati
Nonostante il calo degli sbarchi di rifugiati sull’isola di Lesbo, gli ultimi mesi hanno registrato un’impennata sorprendente negli arrivi. Soltanto in agosto sono sbarcate sull’isola 102 imbarcazioni, e stando alla ONG Lighthouse Relief, che opera nella parte settentrionale dell’isola, sono state assistite più di 2.800 persone. I dati resi disponibili dallo Aegean Boat Report, una pagina social che monitora quotidianamente il numero degli sbarchi nell’Egeo, mostrano che la tendenza è destinata a proseguire per tutto il mese seguente. Nella prima settimana di settembre sulle isole greche è sbarcato un totale di 2.302 persone, di cui 886 a Lesbo. Attualmente la stragrande maggioranza di coloro che arrivano in Grecia per mare, compreso sull’isola di Lesbo, provengono dall’Afghanistan e dalla Siria, seguiti dalla Repubblica Democratica del Congo e dalla Palestina.
In genere i rifugiati che arrivano a Lesbo sbarcano nella parte meridionale dell’isola, vicino all’aeroporto di Mitilene, oppure nella parte settentrionale vicino ai villaggi di Petra e Skala Sykamineas. L’organizzazione indipendente di ricerca e soccorso Refugee Rescue, fondata vari anni fa dai volontari che si trovavano sull’isola, dispone di un’imbarcazione di soccorso e in alcuni casi assiste anche le autorità greche ed europee. Stando a Finn Sands Robinson, coordinatore sul campo dell’organizzazione, a nord si è verificato un aumento significativo degli sbarchi: tuttavia “la situazione a Lesbo è sempre stata imprevedibile” per via di specifici fattori geopolitici.
“Abbiamo osservatori che durante il giorno avvistano e segnalano le imbarcazioni, e poi abbiamo volontari e coordinatori presenti nel campo di transito di fase 2 – la struttura in cui vengono portate le persone subito dopo essere sbarcate o essere state tratte in salvo – è lì che distribuiamo acqua, tè e materiali non alimentari, ed è lì che vogliamo incoraggiare per davvero la costruzione di un ambiente sicuro, in cui le persone possano tirare il fiato dopo una traversata tanto traumatica”, spiega Finn Sands Robinson.
Tuttavia, stando a Refugee Rescue e Lighthouse Relief, a causa della recente impennata di sbarchi le persone si trattengono nel campo di transito più a lungo del solito. Una volta uscite dal campo vengono portate nell’hotspot di Moria, il campo profughi più sovraffollato di tutta la Grecia, dove hanno inizio le procedure per l’asilo.
Moria straripa di rifugiati. Al 13 di settembre “ospitava” 10.537 persone, pur avendo una capacità massima di 3.000. La maggior parte vive nei pressi delle strutture principali, in quello che ormai è conosciuto come l’Oliveto. Migliaia di tende circondate da olivi, sparse sulle colline dove è stato costruito l’hotspot. Le strutture e i servizi per gli occupanti dell’oliveto sono al di sotto di qualsiasi requisito umanitario. La gente passa intere giornate in fila per accedere ai gabinetti e ai lavatoi, per ricevere le razioni di cibo e persino l’acqua potabile.
Mostafa* è sbarcato a Lesbo ad agosto, dopo essere fuggito dai conflitti in Afghanistan. Ha provato due volte a raggiungere l’isola e descrive il primo tentativo come un’esperienza sconvolgente: il gommone su cui si trovava aveva iniziato a imbarcare acqua. La seconda volta gli è andata bene.
“Moria ha tanti problemi. Siamo senza l’elettricità e non si mangia bene. A volte andiamo a piedi fino a Mitilene – da qui ci mettiamo quasi un’ora – perché non abbiamo i soldi per l’autobus”, racconta.
Mostafa vive in una tenda con altre dieci persone, tutti parenti. Suo cugino è d’accordo con lui sulle condizioni di vita a Moria, ma ha affermato di voler comunque vivere in Grecia.
“Vorrei smettere di scappare. So quanto è difficile la situazione economica della Grecia, quanto siano difficili le cose per la gente di qui, ma se riesco a trovarmi un lavoro e a sistemarmi, vorrei restare. Parlo già il persiano dell’Afghanistan e l’inglese, posso imparare anche il greco”, ha aggiunto.
Una emergenza sanitaria
Le condizioni di vita orribili nel campo di Moria hanno creato una sorta di bomba a orologeria per la salute e la sanità mentale dei rifugiati. Nel campo è rimasto un solo medico, dopo la scadenza e il mancato rinnovo dei contratti al personale che lavorava al suo interno. La clinica gestita da Medici Senza Frontiere all’ingresso principale del campo trabocca di pazienti, e si riescono a esaminare solo i casi di estrema vulnerabilità.
“Ultimamente stiamo vedendo sempre più casi gravi, e questo incide anche sulla nostra squadra, perché dovendoci occupare dei più gravi non riusciamo ad aiutare tutti. Più gente arriva nel campo, più aumenta lo stress, e più aumenta lo stress, più aumentano le problematiche di salute mentale”, spiega Katrin Brubakk – responsabile per le attività di salute mentale di Medici Senza Frontiere – che aggiunge che è in corso anche un aumento del numero di tentati suicidi, sia fra gli adulti che fra i bambini.
La concezione fallimentare del piano greco per le migrazioni
Il 31 agosto il consiglio per gli affari esteri e la difesa, sotto gli auspici del neo eletto primo ministro greco, ha convocato una riunione in cui è stato discusso l’improvviso aumento degli sbarchi di rifugiati sulle isole del Mar Egeo. In seguito alla riunione, il primo ministro Kyriakos Mitsotakis ha annunciato sette provvedimenti che verranno adottati seduta stante, fra cui il decongestionamento delle isole; il trasferimento sul continente di 116 minori non accompagnati che attendono di ricongiungersi con i familiari in altri paesi dell’Unione Europea; l’aumento delle operazioni di pattugliamento e sorveglianza lungo il confine, in collaborazione con FRONTEX e la NATO; la modifica del quadro legale istituzionale delle procedure per l’asilo, con l’abolizione del secondo grado di appello; l’aumento delle operazioni di polizia per la ricerca e l’identificazione dei richiedenti asilo la cui istanza è stata respinta, sia sulle isole che sul continente; la fornitura immediata di 10 imbarcazioni flessibili pronte a intervenire nel contrasto del traffico di esseri umani, e infine l’appoggio alle comunità locali tramite il potenziamento delle infrastrutture.
Tuttavia il nuovo piano del governo è stato criticato ampiamente dalle organizzazioni per i diritti umani, compresa Amnesty International. In particolare, nel corso di un’intervista, Gabriel Sakkelarides, il direttore di Amnesty International Grecia, ha dichiarato che il nuovo piano del governo sulle migrazioni “ignora gli obblighi fondamentali del paese ed è gravemente a rischio di sanzioni, abusi dei diritti umani e ulteriori guasti al sistema di asilo.” Ha sottolineato inoltre che la Grecia non deve far ricorso ai respingimenti violenti. In seguito all’annuncio dell’abolizione del secondo grado di appello, il Consiglio greco per i rifugiati ha rilasciato un comunicato stampa secondo cui “la garanzia di una seconda istanza di esame nelle richieste di asilo non è una specificità greca ma un obbligo sancito dalle leggi dell’Unione Europea per tutti gli stati membri” e che abolirla costituisce una violazione del diritto internazionale.
Il nuovo piano varato dal governo indica che la Grecia perseguirà una politica sui rifugiati ancora più rigida e restrittiva. L’abolizione del secondo grado di appello costituisce una violazione del diritto europeo e internazionale, che potrebbe portare a una condanna da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo. Allo stesso tempo, l’intensificarsi dei pattugliamenti nel Mar Egeo in una zona già sin troppo militarizzata dimostra che il governo rifiuta di considerare la crisi dei rifugiati una crisi umanitaria, in linea sia con la politica del governo precedente sia con quella dell’Unione Europea sulle migrazioni.
La maggior parte di coloro che arrivano in Grecia e si ritrovano bloccati a Moria e negli altri hotspot viene da zone di guerra. Imporre politiche restrittive equivale a ignorare i loro diritti di rifugiati.
*I nomi sono stati cambiati per proteggere l’identità delle persone.
Immagine di copertina: un bambino all’interno di una tenda nell’Oliveto di Moria. (Foto di Marianna Karakoulaki come tutte quelle presenti nell’articolo)