Gli ormeggi sono stati mollati alle 18. Dopo un mese di stallo, nella serata di mercoledì 1 agosto la nave Aquarius di Sos Méditerranée, gestita in collaborazione con Medici senza frontiere, è tornata in mare, ripartendo proprio dal porto di Marsiglia, dove nel febbraio del 2016 l’operazione aveva preso il via per la prima volta. L’obiettivo umanitario, oggi come allora, è salvare vite, ma la nuova sfida è essere pronti a tutto, anche a disobbedire, nel caso di ordini di stand by che mettano a rischio la vita delle persone e nel caso in cui venga richiesto di riportare i migranti soccorsi in Libia.
“Ripartiamo consapevoli che nulla potrà farci rinunciare alla nostra tripla missione: salvare, proteggere, testimoniare”, sottolinea Francis Vallat, presidente dell’Ong Sos Meéditerranée. Ma dopo lo sbarco forzato a Valencia del giugno scorso, quella appena iniziata si annuncia tra le missioni più difficili per la nave simbolo della chiusura dei porti italiani alle Ong.
Il nuovo assetto di Aquarius
Per questo il ritorno in mare è stato preparato con cura, durante la lunga sosta tecnica obbligata al molo 2 del Vieux Port. Innanzitutto sono stati effettuati alcuni upgrade tecnici sull’equipaggiamento a bordo. A disposizione per il salvataggio in mare dei migranti ci sono tre imbarcazioni veloci di soccorso e un nuovo Rhib (rigid-hulled inflatable boat, ovvero un gommone con uno scafo semirigido e una fiancata gonfiabile) rafforzato nell’efficienza e nella capacità. Inoltre, prevedendo soste prolungate sono state aumentate le scorte di cibo. La nave ha installato anche una cella frigorifera per l’eventuale recupero di morti, e per rispettarne la dignità nel trasporto.
“Abbiamo speso il tempo a Marsiglia per adeguarci al nuovo contesto in cui andremo a operare”, spiega Nicola Stalla, coordinatore Sar (Search and rescue) di Sos Meéditerranée. Ci siamo preparati a un’eventuale permanenza prolungata in mare, nel caso si dovesse verificare di nuovo una situazione di blocco o di ritardato sbarco per le persone soccorse. Avremo più cibo a disposizione, ma abbiamo intensificato anche gli equipaggiamenti Sar, prevedendo per esempio una maggiore capacità e autonomia della lance di salvataggio e degli equipaggiamenti di soccorso in caso di naufragio. Insomma, ci stiamo preparando a tutto quello che potrebbe succedere: prima tra il soccorso e lo sbarco passavano dai due ai tre giorni, ora non lo sappiamo”.
Le incognite, infatti, sono tante. E non riguardano solo il mutato clima politico italiano, dichiaratamente ostile alle operazioni di ricerca e salvataggio operate dalle organizzazioni umanitarie. A cambiare sono state anche le condizioni in mare. In particolare dalla fine di giugno, da quando è stato riconosciuto il Libyan Joint Rescue Coordination Center (Jrcc) da parte dell’Organizzazione marittima internazionale (Imo). A questo si aggiungono le conclusioni dell’ultima riunione del Consiglio europeo del 28 giugno scorso in cui è stato messo nero su bianco che “tutte le navi che operano nel Mediterraneo devono rispettare le leggi applicabili e non ostruire le operazioni della Guardia costiera libica”.
Pronti a disobbedire a ordini che non rispettano la legge
“La decisione per noi di tornare in mare è legata ai bisogni; la mortalità delle persone sulla rotta del Mediterraneo centrale sta tragicamente aumentando e non c’è apparato sufficiente per rispondere a questa situazione. Siamo nella stessa situazione del 2015, quando per la prima volta abbiamo iniziato a fare salvataggio in mare”, spiega Claudia Lodesani, presidente di Medici senza frontiere, che opera su Aquarius attraverso la sua équipe medica. “Per noi l’imperativo umanitario è lo stesso dall’inizio della missione, agiremo seguendo la legge del mare e i trattati internazionali che regolano il soccorso in mare. Di certo non riporteremo le persone a Tripoli. Lo diciamo chiaramente, non si fa rotta verso la Libia, e se ci chiedono di rimanere in stand by in attesa dell’intervento della cosiddetta Guardia costiera libica, valuteremo se c’è un pericolo di naufragio e decideremo cosa fare caso per caso”.
Nella pratica questo significa che se Aquarius verrà messa a conoscenza di un’imbarcazione in difficoltà e l’autorità marittima competente dovesse ordinarle di non dirigersi sul posto per prestare soccorso, l’equipaggio deciderà di adeguarsi a queste istruzioni solo nel caso che venga accertata la presenza di altri mezzi disponibili per soccorrere le persone in pericolo e portarle in un posto sicuro. Al contrario si potrà decidere anche di intervenire. Sullo sbarco in Libia o il trasbordo di migranti su motovedette libiche, invece, nessuna mediazione. “La Libia non è un porto sicuro, non lo diciamo noi ma lo dicono le organizzazioni internazionali come Unhcr e Oim”, continua Lodesani. “Le condizioni dei centri libici le conosciamo e sappiamo che sono disumane: le persone sono esposte ad abusi e torture, per cui non possiamo riportare le persone a Tripoli. La Libia, lo ricordiamo, non ha sottoscritto la convenzione di Ginevra”.
Le operazioni saranno dunque portate avanti, come di consueto, nel rispetto di tre convenzioni marittime: la convenzione Onu sul diritto del mare (Unclos), la convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare (Solas) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e salvataggio (Sar). “Abbiamo consultato diversi esperti di diritto del mare e fatto diverse analisi di contesto”, spiega Stalla, “l’operato di Aquarius rimarrà strettamente aderente all’obbligo prescritto per qualsiasi nave, Ong o mercantile, che prevede il soccorso come priorità assoluta in caso di naufragio o di persone a rischio. La salvaguardia della vita in mare è inderogabile, lo dice la convenzione Onu del 1982, che tra le varie cose stabilisce anche il diritto alla libera navigazione in acque internazionali. La convenzione Solas stabilisce, invece, l’obbligo per qualsiasi comandante di procedere senza indugio e ritardo in caso di rischio. Continueremo a informare le autorità competenti, tutte le procedure saranno in conformità con le linee guida definite dall’organizzazione marittima internazionale. Non siamo noi, ma le politiche attuali degli stati a violare lo spirito di queste convenzioni. Pertanto seguiremo le istruzioni fintanto che rimarranno conformi alle leggi”. Per le due Ong, il ritorno in mare non è né una sfida né una provocazione al governo italiano. Fanno sapere di aver chiesto ai primi di giugno un incontro al ministro dell’Interno Matteo Salvini, ma per ora non hanno ancora ottenuto risposta.
Una lettera aperta con 500 firme della società civile
Nel giorno del ritorno in mare hanno anche fatto appello alla società civile, con una lettera aperta, dove ricordano che dall’inizio di giugno, “mentre alle navi umanitarie veniva impedito di salvare vite nella zona di ricerca e soccorso al largo delle coste libiche, almeno 717 persone sono annegate nel Mediterraneo centrale” – dati dell’OIM, Organizzazione internazionale per le migrazioni, aggiornati al 19 luglio.
“La Aquarius riprende la propria missione poiché salvare vite è la sua missione e il suo dovere come di tutti i marinai a bordo. È anche il compito di tutte le imbarcazioni e di tutti gli equipaggi presenti nel Mediterraneo centrale. Eppure mai come oggi sono state così poche le navi dedicate alla ricerca e al soccorso”, si legge, “La Aquarius torna nelle acque internazionali al largo delle coste libiche perché è suo diritto farlo. L’aiuto che può fornire, come sempre ha fatto, è efficiente, professionale e umano”.
Nell’appello si chiede quindi ai cittadini di “salire” a bordo di Aquarius, nave “simbolo della solidarietà in mare”. Alla chiamata hanno già risposto cinquecento personalità del mondo della politica, della cultura e della società civile, tra cui lo scrittore Erri De Luca, il presidente di Libera Don Ciotti, l’ex premier Enrico Letta, l’attrice Juliette Binoche, lo scrittore Daniel Pennac, l’ex calciatore campione del mondo Lilian Thuram.
“Quando la nave è rimasta ferma per giorni con 630 persone a bordo abbiamo sentito la vicinanza di tanti cittadini e associazioni, che consideravano inaccettabile quello che stava succedendo”, racconta Alessandro Porro, soccorritore a bordo di Aquarius. “Noi siamo in mare anche per queste persone. Senza il supporto dal basso non esisteremmo, siamo gli occhi e le orecchie dei cittadini, il nostro è anche un ruolo di testimonianza civile”. Per questo è stato lanciato anche un nuovo sito, Onboard Aquarius, in cui verranno monitorare tutti i movimenti dell’imbarcazione in tempo reale. “Lo abbiamo fatto per essere ancora più trasparenti”, aggiunge, “purtroppo le informazioni che arrivano ai cittadini sono spesso imprecise. Sul sito riporteremo tutto quello che avviene supportandolo con le prove fattuali raccolte a bordo. Vogliamo che questo sia anche uno strumento pedagogico che possa mettere in condizione chiunque di sapere quanto accade e per evitare false ricostruzioni”.