L’adozione di politiche migratorie di apertura o di chiusura hanno un impatto reale sulle vite delle persone migranti, che, a seconda dei provvedimenti adottati, vengono escluse e allontanate oppure incluse e integrate all’interno del tessuto sociale dei rispettivi Stati. Quello che è certo, come sottolineano i ricercatori Sinem Yilmaz e Giacomo Solano nella ricerca Do migration policies work?, è che le politiche securitarie adottate dai Paesi dell’Ue – come i respingimenti sistematici alle frontiere – non hanno comunque avuto l’effetto deterrente che evidentemente ci si aspettava di avere, andando comunque a violare i diritti fondamentali delle persone migranti.
Infatti, spiegano Yilmaz e Solano, negli ultimi decenni, diversi esperti ed esperte sul tema delle migrazioni hanno sostenuto che esiste un divario tra gli obiettivi delle politiche migratorie restrittive e i risultati effettivamente ottenuti. I fattori causali delle migrazioni vanno dagli squilibri del mercato del lavoro, alle disparità sulla redistribuzione della ricchezza, fino ai conflitti all’interno dei Paesi di origine, “fattori sui quali le politiche migratorie hanno un impatto marginale”. Inoltre, si legge nella ricerca, benché sia vero che le politiche securitarie hanno comunque un impatto considerevolmente negativo – soprattutto sull’accesso al diritto di asilo, alla riunificazione familiare e all’accesso al visto – queste restrizioni non hanno fatto altro che alimentare i movimenti irregolari, spingendo le persone verso canali di migrazione alternativi e rischiosi. “Particolarmente interessante”, scrivono i ricercatori “è il fatto che le politiche più restrittive e la securitizzazione delle frontiere tendono a produrre un aumento del numero di migranti privi di documenti, che è esattamente ciò che queste politiche puntano a ridurre”.
Un altro elemento analizzato dai ricercatori è quello della selettività: infatti, lo schema della Carta Blu Ue è una delle limitate vie legali che le persone migranti potrebbero prendere per arrivare legalmente. Tuttavia, come viene spiegato, la Carta Blu si basa su una selezione ferrea a cui solo chi viene considerato come “altamente qualificato” può partecipare – per il caso dell’Italia, ad esempio, la Carta Blu può essere acquisita solo da persone che svolgono il lavoro di: dirigente, legislatore, imprenditore, professionista del settore scientifico e ingegneristico. Infatti, “sebbene gli stati, in linea di principio, abbiano il diritto di tenere in considerazione skills e qualifiche a favore della selezione di alcune persone migranti rispetto ad altre, le politiche di selezione delle competenze non dovrebbero scavalcare il dovere degli Stati di accogliere altre persone migranti in cerca di protezione o di condizioni di vita migliori”. Il rischio infatti, spiegano i ricercatori, è quello di produrre gli stessi effetti (collaterali) delle politiche restrittive.
In contrapposizione alle politiche securitarie, la promozione di politiche volte all’inclusione sociale, risultano essere più efficaci, soprattutto garantendo pari diritti e attuando politiche di integrazione mirate. Tra queste i ricercatori includono l’ottenimento della cittadinanza e le politiche sociali volte a sanare le disuguaglianze: “nel settore socio-economico, nell’ambito delle politiche inclusive, le persone migranti hanno maggiori probabilità di migliorare la loro lingua e le competenze professionali, [avendo quindi la possibilità di ottenere] posti di lavoro migliori[…]”. E ancora, secondo i ricercatori: “[…] le politiche inclusive non solo aumentano gli atteggiamenti positivi nelle interazioni tra [cittadini autoctoni] e migranti, ma anche creano un senso generale di appartenenza, fiducia e benessere”. Altro elemento fondamentale è l’aggiunta di politiche anti-discriminatorie: le politiche di integrazione “devono prestare attenzione a tutte le diverse aree […], al fine di garantire l’accesso a diritti, opportunità e servizi. Il quadro politico è fondamentale per alleviare o rimuovere le barriere istituzionali generali e per superare le sfide generali che le persone migranti devono affrontare nella società di accoglienza, come la discriminazione, le barriere linguistiche e i problemi di salute”.
In conclusione, i modi in cui i governi trattano i migranti influenza fortemente il modo in cui queste persone e i cittadini del Paese di arrivo interagiscono e pensano gli uni degli altri. Come scrivono Yilmaz e Solano “l’approccio generale di un paese alle politiche migratorie è fortemente associato all’atteggiamento del pubblico nei confronti delle persone migranti[…]” (lo stesso avviene anche per come i media trattano il tema delle migrazioni, come avevamo scritto in questo approfondimento). Al posto delle politiche restrittive, che creano un circolo vizioso di esclusione che rafforza la paura e divisioni, occorre quindi sostituire politiche inclusive, la cui conseguenza è la creazione di un circolo virtuoso fatto di apertura e interazione tra soggetti.
Questo studio è stato prodotto all’interno di Humming Bird. Humming Bird è un progetto Horizon 2020 che mira a migliorare la mappatura e la comprensione dei flussi migratori in evoluzione.
Foto copertina via Twitter/Global Justice UK