“Clandestini” o “rifugiati”? Quale nome per un milione di persone che alla fine del 2015 avranno attraversato il Mediterraneo scappando dalle guerre in Medioriente o dalle persecuzioni in Africa? Non è una scelta neutra. Quel nome li colloca, decide per loro: viaggiatori illegali oppure persone che rischiano per salvare la propria pelle e quella dei propri figli.
Come li chiamiamo? Non come li dovremmo chiamare, ma come chiamiamo oggi i migranti che sbarcano a Lampedusa o a Lesbo.
Ecco, per avere una risposta siamo andati a controllare Google Trends, lo spazio on line in cui il motore di ricerca restituisce la storia di tutte le interrogazioni fatte negli ultimi dieci anni. E abbiamo verificato che la lingua cambia e con lei di conseguenza anche la percezione che abbiamo dei fenomeni. Le buone notizie esistono. E questa che vi stiamo per dare è piccola ma esemplare.
Anche Google lo chiamava Zeitgeist. È lo “spirito del tempo” distillato attraverso le nostre ricerche sul motore di Mountain View (qui trovate le hit del 2015). La nostra presenza on line aumenta e googlare è sempre più la nostra porta d’accesso alle conoscenze e così la fotografia che emerge analizzando i trend di ricerca rispecchia quel che pensiamo e, in fin dei conti, ciò che siamo. Eccolo qui il carotaggio nel enciclopedia del sapere in un continuo cambiamento che i grafici di Google ci aiutano a riconoscere.
Lo sappiamo, i dati di Google non hanno una precisione assoluta e possono non soddisfare gli analisti. Eppure restituiscono un’immagine dell’Italia che è difficile da sottovalutare. Ed è un’immagine, nel suo piccolo, confortante.
Guardiamo per esempio il grafico qui sotto ed elaborato attraverso Google Trends. Mette a confronto le ricerche di tre termini chiave con cui in Italia sono stati chiamati fino a oggi gli stranieri che arrivano nel nostro paese in modo più o meno regolare. Abbiamo tenuto volutamente fuori espressioni che hanno un significato razzista come l’ormai in disuso “vu cumpra’”.
Innanzitutto si nota una lenta e inesorabile discesa di “extracomunitario”. Un termine e un concetto che la nostra lingua sta piano piano espellendo dall’uso comune. La Comunità Europea non esiste più da tempo e anche l’italiano registrato da Google ne sta prendendo atto. I picchi più alti – che, ricordiamolo, indicano le occasioni in cui molti italiano hanno cercato quella parola su Google – risalgono al febbraio 2005 e al febbraio 2006 e un ultimo nel novembre 2007 in coincidenza con l’omicidio di Giovanna Reggiani alla stazione di Tor di Quinto a Roma.
Ma ora proviamo ad avvicinarci ancora un po’ a queste tendenze. Come vedremo raccontano la storia di un cambiamento in meglio.
Cosa ci dice questo secondo grafico? Che l’interesse intorno al tema dei migranti è più o meno costante negli ultimi dieci anni. E che le esplosioni d’interesse segnalate dai picchi di “clandestini” coincidono con fatti eclatanti di cronaca nera o politica. Nei periodi di calma c’è comunque un interesse nel tempo per una questione che ormai fa parte integrante della società italiana. Qui raccolte e spiegate le ragioni per cui “clandestino” è termine da evitare su media e non sinonimo di “migrante” o “rifugiato”.
Ma inoltre quel grafico racconta di un cambiamento in corso. “Rifugiati” è stata fino a poco tempo fa parola perlopiù tecnica, per addetti ai lavori dei diritti umani e che difficilmente in passato è entrata in una reale discussione pubblica. In un passato più lontano erano i pochi esuli provenienti dai paesi dell’est Europa e poi del Sud America. Poi sono stati quelli, anch’essi lontani fisicamente e nell’immaginario, dei campi mediorientali o africani. Ma dal 2015 non è più così.
Cos’è cambiato dal febbraio 2013, quando si verificato il picco più alto nell’interesse per i clandestini, a oggi quando sono i rifugiati a catalizzare l’attenzione?
Facciamo un altro passo avanti. Zoommando al solo 2015 il risultato è questo.
Nei mesi passati, le due linee che seguono l’andamento delle ricerche su “clandestini” e “rifugiati” si avvicinano fin quando nella settimana a cavallo tra agosto e settembre avviene il sorpasso.
È un’estate straordinaria quella del 2015, pochi mesi in cui il numero di coloro che hanno attraversato il mare in cerca di salvezza è cresciuto in maniera impensabile fino a pochi mesi fa. A Lampedusa e nelle altre regioni meridionali arrivano decine di migliaia di persone in fuga dalla guerra e da persecuzioni politiche, le immagini dell’esodo dei siriani dalla Turchia verso la costa greca colpiscono con forza l’opinione pubblica italiana e non solo. L’impatto è inevitabile anche sui media. Poco alla volta quelli che erano “clandestini” ora nella lingua, sui media, sugli autobus, nelle scuole, iniziano a essere chiamati “rifugiati”. E non è solo una questione di parola, di iniziare a sostituirne una con un’altra ma anche di sensibilità diffusa verso le persone.
Nell’estate 2015 è nato – in Italia e in tutt’Europa – un sentire comune rispetto ai migranti che abbiamo visto ammassati nelle stazioni balcaniche o sui barconi in mezzo al Mediterraneo. È probabile (molto) che si sia messo in moto un circolo virtuoso tra media e audience (un cambiamento che emerge anche dal rapporto su media e immigrazione della Carta di Roma). Molti giornali e tv stanno iniziando a usare parole adeguate, hanno iniziato a chiamare col nome rispettoso chi fugge da guerre e persecuzioni. Al tempo stesso le persone, tutti noi impariamo a selezionare le informazioni, filtrando il linguaggio e condizionando così di rimbalzo i media. Cause ed effetti si inseguono migliorando – almeno in questo caso – quello che ognuno pensa e dice.
Twitter: @alessandrolanni