1. Nuove inchieste dai centri di detenzione per migranti in Libia
Sally Hayden per Al Jazeera scrive che il centro di Zinten non era stato pensato per ospitare uomini, ma come magazzino per i raccolti. Eppure da quando gli scontri tra fazioni opposte hanno raggiunto Tripoli, qui sono state trasferite oltre 500 persone.
Secondo le Nazioni Unite le condizioni del centro sono disumane: mancano i bagni, non c’è acqua e il cibo scarseggia, mentre le malattie dilagano. Condizioni che hanno spinto i migranti detenuti a protestare. Channel 4 è riuscita a riprendere le proteste e ci mostra in questo scioccante video la situazione del centro.
Sempre dalla Libia arriva la storia riguardante Abdul Rahman Milad, noto con il nom de guerre di “Al Bija”. “Il comandante Bija deve molto all’Europa” scrive Nello Scavo, la sua “guardia costiera” è operativa grazie a mezzi e fondi messi a disposizione da Italia e Europa. Come raccontava Nancy Porsia a Open Migration, Bija è nella lista nera del Consiglio di Sicurezza Onu per i crimini commessi contro i migranti.
2. Diritti per tutti i lavoratori: a Foggia in strada i lavoratori migranti
Il sindacalista dell’Usb Aboubakar Soumahoro, da sempre in prima fila per i diritti dei braccianti, aveva invitato italiani e migranti a partecipare alla protesta di piazza per chiedere “uguale lavoro e uguale salario per tutti”.
In molti hanno risposto all’appello, sfilando tra le vie del capoluogo pugliese fino al palazzo del prefetto, chiedendo parità di salario con gli altri lavoratori e condizioni abitative dignitose.
Come riporta Tatiana Bellizzi, proprio durante la manifestazione si è diffusa la notizia dell’ennesimo incidente stradale in cui sono morti due braccianti stranieri.
Alla dura vita dei lavoratori stranieri in Puglia avevamo dedicato più di un approfondimento: Ilaria Romano ci aveva portato nei ghetti della Capitanata dove per un cassone di pomodori da 350 kg si guadagnano dai tre ai quattro euro.
Con Leone Palmeri avevamo conosciuto invece “la Fabbrica”, ex stabilimento Granarolo, dove alcuni lavoratori di etnia fula e mandinga si sono organizzati per vivere insieme, proteggendosi dal violento individualismo del mercato agricolo.
3. Se il centro-sinistra vince con politiche anti migranti
Divieto di indossare burqa e il niqab nelle strade, “decreto dei gioielli” (la possibilità cioè di prelevare i valori dei migranti per compensare i costi dell’accoglienza), obbligo di stringere la mano tra uomini e donne per ottenere la cittadinanza. Anna Maria Merlo sul Manifesto ricorda alcuni delle norme più controverse approvate dallo scorso governo danese e passate grazie all’appoggio dei socialdemocratici allora all’opposizione.
Quasi tutti gli analisti concordano sul fatto che sarebbe stata proprio la linea dura sull’immigrazione della leader Mette Frederiksen ad aver permesso al partito socialdemocratico di tornare a vincere le elezioni nel paese scandinavo.
Linea dura che solleva più di qualche dubbio, da una parte quelli di esperti e attivisti dei diritti umani – come quelli riportati da Jon Henley sul Guardian – e i dati sui reati di odio che vedono un aumento nell’ultimo anno di quelli dovuti a motivi razziali o religiosi.
Dall’altra quelli di natura politica, è davvero inevitabile che, per vincere, la sinistra europea debba evitare lo scontro sul tema migrazione come scrive sul Corriere della Sera Paolo Mieli?
4. Money Transfert, se l’Italia si riscopre un paese di immigrati
Non rubano il lavoro, non incidono sulla spesa pubblica, il loro contributo al sistema previdenziale è importantissimo, eppure il ruolo fondamentale dei lavoratori stranieri residenti in Italia è troppo spesso offuscato da facili slogan.
Ora un recente studio sulle rimesse smentisce anche l’ultima credenza sui lavoratori stranieri: gli italiani all’estero inviano nel nostro paese più di quanta ricchezza i lavoratori stranieri residenti in Italia spediscono verso i loro paesi di origine.
5. In Francia la solidarietà è di nuovo sotto accusa
Da Calais a Dunkirk, chi aiuta migranti e rifugiati è preso regolarmente di mira dalle autorità. Secondo Amnesty tra novembre 2017 e giugno 2018 ci sarebbero stati 646 casi di intimidazioni e violenza da parte della polizia francese verso attivisti.
Alle intimidazioni vanno aggiunte le condanne, l’ultima quella disposta dal tribunale di Boulogne-sur-Mer nei confronti di un iraniano di 37 anni, imam di una moschea alla periferia di Rouen, condannato a due anni di carcere per aver aiutato alcuni migranti ad attraversare il Canale della Manica in gommone per raggiungere il Regno Unito.
6. I morti nel Mediterraneo sono aumentati dieci volte negli ultimi due anni
Quasi 700 persone hanno lasciato la costa della Libia nei giorni scorsi, solo il 5% delle quali è stato intercettato dalla guardia costiera libica e rimandato ai centri di detenzione. Il 40% è arrivato a Malta e l’11% in Italia; non si sa cosa sia successo agli altri. È questo il tragico bilancio raccontato da Lorenzo Tondo sul Guardian, che porta Carlotta Sami – portavoce dell’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati in Italia – a dire che “Se non interveniamo presto, ci sarà un mare di sangue”.
Il riferimento è all’assenza di navi di soccorso nel Mediterraneo e all’elevato numero di vittime, che nonostante gli slogan del ministro Salvini non accennano a diminuire. L’ultima denuncia è quella di Medu-Medici per i diritti umani, secondo la quale negli ultimi due anni il rischio di perdere la vita cercando di raggiungere l’Europa, si è più che decuplicato.
Vi ricordate il naufragio dell’11 ottobre 2013? 26 corpi recuperati, 286 dispersi, tra cui 60 bambini.Prima della tragedia, Italia e Malta ignorarono le loro richieste di aiuto per 5 ore. Oggi a Roma un’udienza stabilirà se per i loro famigliari ci sarà finalmente giustizia
Gepostet von Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili am Montag, 10. Juni 2019
Riguardo una delle troppe tragedie nel Mediterraneo, proprio oggi a Roma è iniziato il processo Libra. Sul banco degli imputati i ritardi e le omissioni che nel 2013 portarono al naufragio di un peschereccio e al tragico bilancio di oltre 300 tra morti e dispersi.
7. L’unica soluzione offerta ai migranti detenuti in Libia passa per il Niger
Dal novembre 2017, dal Niger sono state trasferite 1.248 persone in paesi sicuri come il Belgio, il Canada, la Finlandia, la Francia, la Germania, i Paesi Bassi, la Norvegia, la Svezia, la Svizzera, il Regno Unito e gli Stati Uniti. Trasferimenti irrisori se si pensa che secondo l’Unhcr in Libia ci sono almeno 57 mila profughi, ma che per molti hanno significato la fine delle torture e della reclusione nelle carceri libiche.
Annalisa Camilli racconta su Internazionale il lavoro del centro di transito di Hamdallaye, unico in tutta l’Africa a permettere il trasferimento d’emergenza dei rifugiati incarcerati in Libia.
8. In Italia in sicurezza con i corridoi umanitari
Quasi 1500 persone sono arrivate in Italia, in completa sicurezza, grazie ai corridoi umanitari organizzati dalla Comunità di Sant’Egidio, dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia e della Tavola Valdese.
Le ultime 58 sono atterrate lo scorso 4 giugno all’aeroporto di Fiumicino con un volo diretto dal Libano. Tra famiglie e coppie che si riuniscono – Anna Ditta racconta per The Post internazionale la storia di di Simon e Rodima che si riabbracciano dopo 2 anni -, c’erano anche Mohammad, Wafa, Ibrahim, Osama e Ahmed, che con Eleonora Camilli Federica Camilli avevamo incontrato a Beirut poco prima della partenza.
9. Ordini contro i soccorsi in mare: tre procure indagano Salvini
Continua lo strascico giudiziario riguardante la nave Sea Watch che lo scorso 15 maggio disobbedì al divieto di approdo e sbarcò 65 migranti precedentemente soccorsi nel porto di Lampedusa. Secondo quanto riportato dal quotidiano Avvenire, la procura di Agrigento starebbe indagando sugli ordini impartiti dal capo del Viminale riguardanti il divieto di approdo della nave della ong tedesca, nei porti italiani.
Come svela Fanpage, a rivelare l’esistenza dell’indagine in corso non è il Ministero dell’Interno, ma “il Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto che, rispondendo alla richiesta di accesso agli atti depositata il 21 maggio dall’avvocato Alessandra Ballerini per conto dell’Associazione Diritti e frontiere (Adif), spiega di non poter fornire la documentazione relativa al caso e neanche la copia delle comunicazioni interne alle autorità italiane perché l’evento in parola è oggetto di indagine da parte della procura della Repubblica presso il tribunale di Palermo e, pertanto, sui relativi atti sussistono le limitazioni all’accesso”.
++ Esclusiva Avvenire Procura di Palermo apre inchiesta e acquisisce atti Viminale su direttive contro le Ong ++ Il documento. Tre procure indagano su Salvini e gli ordini contro i soccorsi in mare@nelloscavo @avvenire_nei https://t.co/CGqsqnzukE
— nello scavo (@nelloscavo) June 6, 2019
Da parte sua – continua Nello Scavo – il Viminale nega questa ricostruzione: al ministero non risulterebbe l’avvio di un’inchiesta della procura di Palermo in merito al suo operato nella vicenda della Sea Watch 3.
Intanto, porti chiusi o meno, gli sbarchi continuano: 300 nuovi arrivi in pochi giorni, scrive Claudio Del Frate sul Corriere della Sera.
10. Storia di Karamoko: dal carcere in Libia all’esordio col Padova
Le violenze in Guinea, la morte dei familiari, il carcere in Libia e poi ancora il viaggio in barcone e il naufragio. Nell’odissea di Cherif Karamoko c’è spazio anche per il lieto fine con l’impegno nel centro di accoglienza e il tanto agognato esordio in serie B con il Padova: “Quando ho iniziato a fare allenamento con la prima squadra tutti erano gentili e mi regalavano scarpe, felpe, mi trattavano come un fratello. Ho visto che un paio di scarpe che mi hanno regalato costa 150 euro, e ho ripensato a quando riparavo quelle vecchie col coltello”. Una storia incredibile nella bellissima intervista di Giulio Di Feo sulla Gazzetta dello Sport.
Immagine di copertina di Bruce van Zyl