1. L’inferno della Libia – in tempo reale
L’inferno libico – che tutti ormai conosciamo bene – raccontato in tempo reale da due migranti eritrei che vi sono intrappolati. L’articolo di Fatma Naib per Al Jazeera.
2. I costi umani della chiusura della rotta mediterranea centrale
Diminuiscono gli arrivi in Italia dalla Libia, ma aumenta la mortalità su quella che è già la rotta migratoria più pericolosa al mondo. È di domenica la notizia dell’ennesimo naufragio, con tre morti e almeno venti dispersi, con le Ong a denunciare come la guardia costiera libica abbia impedito i salvataggi. L’approfondimento di Priyanka Boghani per Frontline fa il punto, dati alla mano, sulle conseguenze delle politiche europee ed italiane nel Mediterraneo.
3. Il paesino italiano che lotta per i suoi rifugiati, e la tendopoli di Rosarno che brucia
“Il Molise non esiste”, recitava un tormentone del web di qualche anno fa. E invece la regione italiana esiste eccome, e adesso ha rinnovata fama internazionale grazie al paesino molisano di Ripabottoni, la cui popolazione ha preso posizione contro la chiusura del centro di accoglienza – come racconta l’articolo di Gianluca Mezzofiore per CNN.
Da una parte la bella storia di Ripabottoni, dall’altra quella amara di Rosarno. La baraccopoli dei migranti sfruttati nei campi della Calabria, conosciuta per la rivolta che qui ebbe luogo nel 2010 e per le sue perduranti condizione disumane, è stata distrutta da un incendio la notte del 27 gennaio, durante il quale ha perso la vita una giovane donna nigeriana e in molti sono rimasti feriti. Una tragedia annunciata, spiega l’articolo di Antonio Maria Miri per Avvenire (da accompagnare alle foto di Repubblica e al reportage del 2016 di Internazionale).
La storia di Becky Moses fa male al cuore. Morta (male) nel rogo di una tendopoli a Rosarno. Becky che invece un futuro ce l'aveva a #Riace dove le volevano bene, la carta d'identità l'ha ricevuta il 21/12. Poi il sistema non accoglienza le ha negato l'asilo e da lì il disastro pic.twitter.com/ZYKQB9WZrU
— Igiaba 📚 (@casamacombo) January 29, 2018
4. Sulla rotta alpina dei migranti
Disposti a qualsiasi cosa pur di proseguire il proprio viaggio della speranza. Anche a rischiare la vita attraversando le Alpi a piedi, al freddo e al gelo, con la neve che non smette mai di cadere. Continuiamo a parlare della nuova rotta alpina dei migranti, che parte da Bardonecchia – la “Lampedusa delle nevi” – e arriva in Francia. Mentre già si teme per i primi morti, che potrebbero rimanere nascosti dalle neve (come spiegano Saskya Vandoorne e Melissa Bell su CNN). Il reportage di Annalisa Camilli (originariamente pubblicato su Internazionale) è ora disponibile in inglese su Refugees Deeply. Da accompagnare al reportage di ITV News e alle foto di Antonio Masiello sul Guardian.
5. Follow the money: come vengono usati i fondi europei a livello nazionale?
Il Consiglio europeo per i rifugiati (Ecre) e l’Agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) hanno unito le forze per una mappatura dell’utilizzo dei fondi europei per asilo, migrazione e integrazione (Fami) messi a disposizione dalla Commissione Europea. Si parla di oltre 3 miliardi di euro tra 2014 e 2020 – e, andando a vedere dove finiscono, emergono alcuni elementi interessanti. Ad esempio, che il Regno Unito è il paese che ha ricevuto più fondi, spendendone quasi il 60% per i rimpatri. L’articolo di Nikolaj Nielsen per Eu Observer.
6. Il grosso grasso business del controllo dei confini
Quei confini crudeli che uccidono – come vi abbiamo raccontato qui, qui e qui – sono per alcuni un business miliardario. Da leggere l’inchiesta di Laura Secorun Palet per Ozy sul grosso grasso business del controllo delle frontiere.
7. Cosa c’è di sbagliato coi “gay test” per i richiedenti asilo
Niente test psicologico obbligatorio per i richiedenti asilo che dicono di essere perseguitati nel loro paese di origine a causa del loro orientamento sessuale. Lo ha stabilito la Corte di giustizia Ue che – partendo dal caso di un cittadino nigeriano la cui richiesta di asilo in Ungheria era stata rifiutata sulla base dei risultati di un test psicologico per accertarne l’omosessualità – ha concluso che una tale pratica rappresenti “un’ingerenza sproporzionata nella vita privata”. L’articolo della BBC (da accompagnare ai nostri approfondimenti sui rifugiati Lgbti in Europa).
No, LGBTI asylum seekers cannot see their claim denied on the basis of psycological tests [ECJ]. A positive step forward for #LGBTIrefugees https://t.co/4GauVm7RzY
— Luna Lara Liboni (@LunaLiboni) January 26, 2018
8. Israele e i rifugiati: la storia ci giudicherà
Il premier israeliano Netanyahu è disposto a tutto pur di cacciare i migranti africani dal paese. A inizio 2018, ha lanciato un duro ultimatum a oltre 40 mila cittadini eritrei e sudanesi a cui è stato negato asilo in Israele: lasciare il paese per sempre (ricevendo in cambio 3500 dollari) o affrontare il carcere a vita. E per farlo cerca anche il supporto dei cittadini israeliani, a cui si offrono circa 9000 dollari per partecipare alla caccia al migrante africano (come racconta l’articolo di Labdi Latif Dahir per Quartz). Contro la disumana direttiva di Netanyahu arrivano le critiche e gli appelli del mondo intero, tra cui una lettera firmata da alcuni sopravvissuti all’Olocausto. Da leggere l’articolo di Yehuda Bauer e quello di Gideon Levy per Haaretz, che ci mettono in guardia: se non fermiamo questo abominio, la storia ci giudicherà.
9. Il rimpatrio dei Rohingya è posticipato, ma la paura resta
Il rimpatrio di oltre mezzo milione di Rohingya dal Bangladesh al loro paese d’origine – la Birmania, dove continua la campagna di pulizia etnica (principalmente contro i Rohingya, ma non solo) – è stato posticipato a data da definirsi. Ma intanto nei campi profughi che ospitano centinaia di migliaia di profughi Rohingya restano incertezze e paure. L’articolo di Verena Hozl per Irin News, da accompagnare al nostro reportage dal Bangladesh e al nostro editoriale contro i rimpatri.
10. Come il Libano vuole rispedire i rifugiati nell’inferno siriano
La situazione per i rifugiati in Libano è sempre più preoccupante. L’insofferenza dei libanesi verso il milione e mezzo di siriani che hanno trovato rifugio – pur tra mille precarietà e difficoltà – dalle atrocità delle guerra nella loro terra continua a crescere, e le richieste per l’avvio dei rimpatri verso la Siria diventano più insistenti. Con il rischio di costringere i siriani a scegliere tra restare in un paese che non li vuole o tornare nella propria terra patria ancora devastata dalla guerra. L’articolo di Eric Reidy per The Nation.
Foto di copertina via BB (CC BY-NC 2.0).