Ad arrivare nel nostro paese attraverso la pericolosissima rotta mediterranea sono stati 170 mila nel 2014, 153 mila nel 2015, 181 mila nel 2016. Si badi: numeri evidentemente consistenti, ma allo stesso tempo non allarmanti (quantomeno in teoria, visto che in pratica l’allarmismo dilaga): i nuovi arrivati rappresentano comunque appena lo 0,3% della popolazione italiana, restando dunque evidente come sia inappropriato parlare di “invasione”.
Rotte e storie diverse, ma con qualcosa in comune
Mentre gli arrivi via mare in Europa sono fortemente ridotti rispetto al 2015 – passando da poco più di un milione a circa 361 mila – sulle coste italiane continuano gli sbarchi in modo consistente. Ma anche qui, attenzione alle letture superficiali: il nostro paese si è sì ripreso il primato per numero di sbarchi che nel 2015 era spettato alla Grecia coi suoi 856 mila giunti via mare, ma questo non implica comunque l’esistenza di alcuna “emergenza” ed ha poco a che fare con quello che sta succedendo in Grecia. Se ad arrivare da noi sono in tanti non è infatti per conseguenza del contestato accordo con la Turchia – che ha invece determinato, ed a carissimo costo in termini di violazioni dei diritti umani, un crollo degli sbarchi sulle coste elleniche (856 mila del 2015, 174 mila del 2016) – ma piuttosto il risultato di (altre) precise scelte politiche europee (vedasi sotto).
La chiusura della via greca non c’entra niente con i numeri italiani. Le due rotte – quella mediterranea centrale verso l’Italia e quella mediterranea orientale verso la Grecia – sono infatti tendenzialmente percorse da persone di nazionalità diverse: stando agli ultimi dati dell’agenzia Onu per i rifugiati (UNHCR), mentre in Grecia ad arrivare sono (o meglio erano?) innanzitutto i siriani, seguiti poi da afghani e iracheni, in Italia sbarcano soprattutto africani, in primo luogo nigeriani ed eritrei.
Anche qui, attenzione a non cadere in facili equivoci. Chi dice che ad arrivare via mare in Italia sono persone che “non scappano da nessuna guerra, non sono siriani e non otterranno mai lo stato di profugo” compie una grossolana e grave semplificazione, innanzitutto perché non si può mai liquidare sbrigativamente una richiesta d’asilo in base alla nazionalità del richiedente – in quanto il diritto alla protezione internazionale è un diritto relativo al singolo e non al paese di provenienza – ed in secondo luogo perché a rischiare la vita e meritare protezione internazionale non sono affatto solo i siriani. Stando all’analisi di dati e casi concreti, ecco da cosa fuggono i richiedenti asilo in arrivo in Italia: violenze terribili, matrimoni forzati, intollerabili discriminazioni. La realtà – ed a dirlo è l’UNHCR – è che la stragrande maggioranza delle persone che intraprendono il disperato viaggio della speranza attraverso il Mediterraneo sono bisognosi di protezioni internazionale. Insomma: storie e rotte diverse, che però hanno qualcosa in comune.
Libia unica via, tra violazioni dei diritti umani e morti in mare
Non c’è infatti davvero niente di sorprendente nei flussi migratori che attraversano il nostro mare: tanto il fatto che per migliaia e migliaia di profughi siriani è diventato impossibile raggiungere la Grecia e quindi l’Europa quanto il fatto che l’Italia sia pressoché l’unica destinazione possibile per i richiedenti asilo africani dipendono infatti da precise scelte politiche europee. Da un lato l’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia di Erdogan che ha sigillato la via ai siriani, dall’altro la costruzione di una sorta di muro non fisico verso l’Africa tramite la progressiva chiusura delle sue principali rotte migratorie (vedasi il “modello” spagnolo) che – come ben spiegato in un articolo del giornalista Martin Plaut – ha reso la Libia il principale luogo di partenza, e l’Italia il principale luogo d’arrivo, per i tanti africani in fuga da violenze, discriminazioni e povertà disperata.
Niente di sorprendente, insomma, nel fatto che quasi il 90% delle persone che arrivano in Italia abbia intrapreso la traversata dalle coste libiche. E quindi niente di sorprendente nemmeno nelle condizioni drammatiche in cui migliaia e migliaia di richiedenti asilo si vengono a trovare in Libia (dove si denunciano continue e gravi violazioni dei diritti umani, anche e soprattutto per i minori) e tantomeno in tutti quei morti in mare, sempre di più, mai così tanti: si muore infatti soprattutto a largo della Libia o a largo di Lampedusa, lungo la rotta maledetta del Mediterraneo Centrale.
Sempre più minori soli
Se si vuole parlare di “emergenza”, insomma, si parli – piuttosto che di persone arrivate, o persone che presentano richiesta di asilo – di morti in mare. O di minori soli (minori stranieri non accompagnati – MSNA – nel gergo legislativo). Così come non c’erano mai stati così tanti morti in mare, infatti, non erano mai arrivati tanti bambini e ragazzi soli in Italia – anche questi in stragrande prevalenza africani. I MSNA sbarcati nel nostro paese sono stati circa 13 mila nel 2014, 12 mila e rotti nel 2015; sono quasi raddoppiati nel 2016, quando ad arrivare non accompagnati sono stati poco meno di 26mila minori. E, parallelamente, sono sempre meno i giovani che arrivano con le famiglie, passati dai circa 13 mila del 2014 ai 2 mila del 2016. Ad oggi, più del 90% dei minori che sbarcano in Italia sono abbandonati a se stessi.
Anche qui c’è una conseguenza tanto prevedibile quanto preoccupante: migliaia sono i minori che arrivano in Italia e “scompaiono” dal sistema di accoglienza – spesso perché vittime di sfruttamento, ma ancora più frequentemente perché spinti (si potrebbe dire costretti) dai malfunzionamenti e le lungaggini delle procedure d’asilo, accesso al lavoro e ricongiungimento. Insomma, vi è un vero e proprio buco nel sistema che inghiotte migliaia e migliaia di minori soli. Stando agli ultimi dati ministeriali, in Italia a fine 2016 erano circa 6500 gli MSNA irreperibili.
Insomma, l’Europa continua a sbagliare tutto con le sue politiche sull’immigrazione – chiudendo le porte ai rifugiati, costringendo i richiedenti asilo a viaggi sempre più disperati e mortali, abbandonando i minori a se stessi – e lo fa nonostante l’evidenza drammatica dei numeri.
Ed a noi non resta che chiederci quando cominceremo a imparare le lezioni messe nero su bianco dalla storia.