L’imbarcazione Arcturus di Salvamento Marítimo, l’agenzia statale spagnola impegnata nelle operazioni di salvataggio in mare, attracca nel porto di Tarifa con 144 migranti a bordo. Sono stati appena tratti in salvo nelle acque dello Stretto di Gibilterra. “Ormai per noi si tratta di un compito quotidiano, da alcune settimane a questa parte”, racconta un operatore della Croce Rossa, pronto ad assistere i migranti una volta sbarcati sulla banchina. Le sue parole testimoniano l’acuirsi della crisi migratoria lungo la “Frontera Sur” spagnola, diventata ormai principale porta d’accesso per i migranti diretti verso il vecchio continente.
Il governo spagnolo ha registrato 26.260 arrivi sul proprio territorio nei primi sette mesi dell’anno. La maggior parte delle persone, circa 23 mila, sono sbarcate sulle coste dell’Andalusia, mentre il resto ha optato per raggiungere le enclave spagnole di Ceuta e Melilla in Marocco.
Il numero degli arrivi, come si vede, supera di molto i 18 mila sbarchi avvenuti in Italia nello stesso periodo di tempo. Soltanto nel mese di luglio, stando ai dati forniti dal progetto Missing Migrants dell’Organizzazione Internazionale per le migrazioni (Iom), i migranti arrivati in Spagna hanno superato le 1000 unità settimanali, certificando una piena emergenza estiva. Anche il numero dei morti è inevitabilmente aumentato rispetto agli anni scorsi, con oltre 300 decessi registrati tra gennaio e giugno 2018 fra i migranti che tentavano di raggiungere la Spagna dalle coste marocchine.
“Le rotte migratorie continueranno a esistere, le persone sceglieranno la via più facile per arrivare in Europa…”, dice José Villahoz, presidente di Algeciras Acoge, associazione da tempo impegnata nella difesa dei diritti dei migranti che sbarcano nell’estremo sud della Spagna. Secondo lo stesso Villahoz, l’impennata del flusso migratorio nel Mediterraneo occidentale è una diretta conseguenza sia della riuscita alleanza tra Ue e Turchia per sbarrare la strada ai migranti lungo i Balcani, sia dell’accordo sottoscritto dall’Italia con la Libia nel 2017 con l’obbiettivo di frenare gli sbarchi.
“Per molti anni gli arrivi sulle coste andaluse hanno visto un predominio della popolazione sub-sahariana, ma negli ultimi mesi abbiamo assistito a un aumento dei migranti di origine marocchina a causa dell’instabilità politica nella regione settentrionale del Rif, e registriamo anche la presenza di alcuni gruppi provenienti da Bangladesh e Pakistan”, rivela Villahoz, sottolineando che i migranti di origine siriana diretti in Spagna sono soliti attraversare la frontiera terrestre a Melilla, senza spingersi fino allo Stretto di Gibilterra.
Arrivando sulle coste spagnole
Adolfo Serrano osserva in silenzio un monitor che segnala in tempo reale le imbarcazioni che transitano per lo Stretto di Gibilterra. “Guardando ai numeri di giugno e luglio sembra che questa emergenza migratoria non avrà mai fine…”, dice rivolgendosi a un collega. È a capo del Centro di Coordinamento di Salvamento Marítimo di Tarifa, ospitato in una struttura che si affaccia a picco sul lembo di mare che separa l’Europa dal Marocco. La tensione è alta nella sala operativa del Centro, chiamato a coordinare l’intensa attività di soccorso marittimo dei mesi estivi, resa più complessa dalle tante imbarcazioni turistiche presenti in mare insieme all’arrivo delle “pateras” cariche di migranti. Secondo i dati diffusi dalla stessa agenzia statale, sono 22 mila quelli tratti in salvo nei primi sette mesi dell’anno, recuperati a bordo di oltre 1.200 imbarcazioni nelle acque antistanti l’Andalusia.
“Le imbarcazioni che salpano nei pressi di Tangeri sono perlopiù canotti gonfiabili che possono ospitare fino a dodici persone, quasi sempre di origine sub-sahariana”, dice Adolfo Serrano, aggiungendo che le barche in legno tradizionalmente usate dai migranti di origine maghrebina in partenza dalla costa atlantica del Marocco “stanno lasciando il posto a gommoni semi-rigidi, utilizzati anche per le traversate che iniziano nei dintorni di Melilla e Al Hoceima”. Una volta in mare, le imbarcazioni dei migranti cercano di eludere la sorveglianza della Marina marocchina, puntando poi verso le coste andaluse con la speranza di essere tempestivamente rintracciati da Salvamento Marítimo qualora sorgano delle difficoltà.
I migranti recuperati in mare dalla Arcturus – un gruppo composto da uomini, donne e bambini – vengono fatti scendere dalla nave in fila indiana, ognuno avvolto in una coperta della Croce Rossa. Alcuni scattano fotografie col cellulare mentre ascoltano le istruzioni impartite dagli uomini di Salvamento Marítimo. Ad attenderli sulla banchina c’è un contingente della Guardia Civil accompagnato da due funzionari di Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera. Le donne con bambini si siedono per prime a ridosso di un muro di cinta, in attesa di essere visitate dai volontari della Croce Rossa, mentre alcuni uomini, esausti, si addormentano al sole nonostante le alte temperature di fine luglio.
“Ho lasciato il Camerun perché nel mio paese non c’è lavoro”, racconta Arnold, intento a sorseggiare dell’acqua fornitagli dai volontari della Croce Rossa. “Ho 18 anni e non potevo più rimanere”, aggiunge, rivelando di aver attraversato Nigeria e Algeria prima di raggiungere un sobborgo di Casablanca, dove ha stazionato per alcune settimane. Gli fanno eco due ragazzi della Guinea-Conakry, rimasti quasi tre mesi in un accampamento nei dintorni di Tangeri prima di attraversare lo Stretto. Raccontano di aver preferito la via del mare “perché la polizia marocchina picchia duro nei boschi vicino al confine con Ceuta”. Dicono che nei prossimi giorni molti faranno lo stesso.
Uno dei funzionari di Frontex conferma l’origine sub-sahariana di tutti i migranti, anche se nessuno di loro esibisce documenti ufficiali. Un passaporto potrebbe infatti significare deportazione sicura verso il proprio paese d’origine, tenendo conto degli accordi in materia migratoria sottoscritti da Madrid con alcuni paesi dell’Africa Occidentale. Negli ultimi anni le deportazioni di immigrati irregolari sub-sahariani sono state pressoché nulle, essendo quasi impossibile per le autorità spagnole determinarne con certezza la nazionalità. A rischio deportazione sono soprattutto gli immigrati irregolari nati in Marocco, paese con cui la Spagna ha sottoscritto il primo accordo in materia immigrazione nel 1992. Sono oltre 3 mila, in media, i marocchini deportati ogni anno a partire dal 2012, stando alle statistiche diffuse dal governo spagnolo. Gli immigrati di provenienza sub-sahariana, qualora non beneficino di qualche forma di protezione internazionale, sono quindi destinati a rimanere in un limbo giuridico, obbligati a vivere ai margini della legalità.
La nuova ondata migratoria sta portando al collasso il sistema di accoglienza spagnolo. Il nuovo governo socialista ha apertamente accusato l’esecutivo del predecessore Mariano Rajoy di non aver previsto in tempo l’aggravarsi della situazione, non predisponendo strutture ad hoc per fronteggiare la crisi. Non c’è spazio per i migranti, e alcuni comuni dell’Andalusia hanno predisposto l’apertura di padiglioni sportivi per accogliere i nuovi arrivati. L’emergenza ha spinto anche altre città della Spagna ad attivarsi per alleviare la pressione nella “Frontera Sur”, prima fra tutte Barcellona, che ha destinato ai migranti alcuni locali abitualmente riservati d‘inverno ai senzatetto. Il numero crescente di arrivi sta inoltre stravolgendo le normali procedure di legge, alcuni migranti vengono infatti lasciati liberi per mancanza di spazi prima che scadano le iniziali 72 ore di fermo poliziesco e anche il trasferimento nei Centri di Internamento di Stranieri (Cie) risulta impossibile per lo stesso motivo, con la conseguenza di trovarsi sin dall’inizio in una condizione illegale di “sin papeles”.
La barriera di Ceuta
“Boza! Boza!”, ripetono decine di giovani sub-sahariani ammassati all’ingresso del Centro di Permanenza Temporanea per Immigrati (Ceti) di Ceuta, un lembo di Spagna situato sul versante marocchino dello Stretto di Gibilterra. “Boza” è una sorta di parola magica per i migranti, in lingua fula significa “vittoria”, e viene pronunciata per celebrare l’avvenuto salto della barriera posta al confine col Marocco. Lo scorso 26 luglio, in 600 sono riusciti a entrare a Ceuta, scontrandosi duramente con la Guardia Civil che tentava di rispedirli indietro. “Si è trattato di un piano ben organizzato, preparato con molto anticipo”, dice un operatore umanitario che preferisce restare anonimo, sottolineando che un “salto” della barriera così clamoroso, uno dei più numerosi mai registrati a Ceuta, sarebbe impossibile da realizzare senza la complicità della polizia marocchina. Tra i migranti giunti al Ceti dopo aver superato il confine spicca l’assenza di donne e bambini: ci sono soltanto uomini di età compresa tra i 18 e i 25 anni, come confermano i volontari della Croce Rossa. Lo scavalcamento della barriera richiede d’altronde un notevole sforzo fisico, perché bisogna superare una doppia cortina di ferro alta sei metri e sormontata da filo spinato.
L’auto della Guardia Civil percorre lentamente la strada che costeggia la barriera che separa Ceuta dal Marocco. All’improvviso l’agente al volante ferma il veicolo e indica un punto oltre il confine. “I migranti si riuniscono in quei boschi, rimanendo in attesa del momento propizio per tentare il salto”, racconta, aggiungendo con un sospiro profondo che l’unica cosa che li spaventa davvero “sono le retate della polizia marocchina”.
La macchina riprende quindi il tragitto fino in prossimità di uno dei due estremi della barriera, nel punto esatto in cui i 600 migranti sono riusciti a saltarla. Intrappolati nel filo spinato ci sono ancora alcuni indumenti che una gru si appresta a togliere. “Il nostro compito è far rispettare la legge”, afferma l’agente, facendo riferimento alle discusse “devoluciones en caliente”, che consistono nell’immediata restituzione alle autorità marocchine dei migranti intercettati dopo il salto della barriera. Una pratica già prevista nell’accordo bilaterale tra Spagna e Marocco del 1992 e successivamente legalizzata dalla nuova “ley de extranjería” varata dal Partito Popolare nel 2015.
Diverse Ong spagnole hanno ripetutamente denunciato l’illegalità delle “devoluciones en caliente” ai sensi del diritto internazionale – una posizione riconosciuta, per la prima volta, da una sentenza emessa lo scorso anno dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, che si è pronunciata sulla denuncia presentata da due immigrati sub-sahariani respinti nell’agosto del 2014 alla barriera di Melilla. I giudici hanno stabilito, nello specifico, che la pratica in questione viola gli articoli 4 e 13 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che proibisce le espulsioni collettive e riconosce il diritto a un ricorso effettivo a chiunque valichi le frontiere europee.
La politica migratoria del governo spagnolo
La decisione di far sbarcare nel porto di Valencia i 630 migranti salvati in mare lo scorso giugno dalla nave Aquarius di Sos Mediterranee e ricusati dal ministro dell’Interno italiano Salvini, ha rappresentato il fiore all’occhiello della nuova politica sull’immigrazione promessa dal governo di Pedro Sánchez. Un approccio, stando alle dichiarazioni del nuovo premier, improntato a rendere più dignitosa l’accoglienza dei migranti rispetto alle misure adottate dall’esecutivo Rajoy.
Una delle prime mosse del nuovo governo socialista ha riguardato il ripristino del sistema della sanità universale, in precedenza abolito dal suo predecessore, che garantisce l’assistenza sanitaria gratuita anche ai migranti irregolari appena sbarcati in Spagna, indipendentemente dalla titolarità di un contratto di lavoro o dal risultare domiciliati sul suolo iberico.
La nuova politica migratoria marcata Psoe si concentra soprattutto sui problemi alle barriere di Ceuta e Melilla, come dimostra la volontà, espressa dal ministro dell’Interno Grande-Marlaska, di mettere fine alle “devoluciones en caliente” e di sostituire le concertine di filo spinato che sormontano le barriere con altri sistemi di dissuasione non laceranti.
Ma l’acuirsi della crisi migratoria ha sparigliato le carte, forzando Grande-Marlaska ad appoggiare l’operato della Guardia Civil nelle due enclaves spagnole, viaggiando poi a Rabat ed in Mauritania per ribadire la necessità di una cooperazione bilaterale nella lotta all’immigrazione irregolare.
Alla stregua di Turchia e Libia nel Mediterraneo, il Marocco ricopre un ruolo fondamentale nella gestione del flusso migratorio verso la Spagna. La recente firma del nuovo accordo di pesca tra l’Ue e il paese nordafricano, che comprende le acque antistanti il Sahara Occidentale, appare decisiva per dissipare le tensioni degli ultimi mesi.
La Corte di giustizia europea aveva infatti stabilito che il precedente accordo firmato nel 2012, che autorizzava 120 pescherecci Ue a operare in acque marocchine dietro il pagamento di 30 milioni di euro annui da parte di Bruxelles, non avesse validità nelle acque che bagnano il Sahara Occidentale, poiché ritenuto territorio non appartenente al Marocco. Decisione contestata dal ministro dell’agricoltura Aziz Akhannouch, repentino nel minacciare un ripristino del flusso di migranti in risposta “agli ostacoli” posti all’esecuzione degli accordi commerciali con l’Europa.
Una posizione che aveva sollevato parecchia inquietudine nell’opinione pubblica spagnola, preoccupata che l’esplosione della crisi migratoria sia la conseguenza di un presunto allentamento dei controlli da parte marocchina.
In copertina: un gruppo di migranti appena sbarcati nel porto di Tarifa il 24 luglio 2018 (fotografia di Mario Magarò)