Il lungo e tortuoso cammino del prossimo budget è cominciato con la proposta della Commissione Europea lo scorso 2 maggio. Per il presidente Juncker si tratta di “un piano pragmatico per fare di più con meno” e infatti, nonostante la Brexit, il documento presenta 1.135 miliardi di euro di impegni (compreso il Fondo europeo di sviluppo), una cifra molto simile a quella del bilancio dei sette anni precedenti. L’idea di fondo è investire di più “in settori in cui l’UE sia in grado di apportare un reale valore aggiunto europeo”. E tutti i settori collegati alla migrazione sono sicuramente fra questi.
“Non c’è dubbio che si tratti di una priorità, sia a livello interno che esterno”, spiega Kate Hooper, analista del Migration Policy Institute. Tra le tante voci che influiscono direttamente e indirettamente sul governo dei flussi migratori, quella che lo dimostra in maniera più netta è “Migrazione e gestione delle frontiere”. Rispetto ad altre voci che storicamente fanno la parte del leone (come la Politica Agricola Comune o i fondi per la coesione), è un capitolo ancora limitato ma in netta crescita, la voce più forte di tutte, con un incremento di 2,6 volte rispetto al budget precedente.
Più fondi per le frontiere
“L’incremento è sicuramente importante, ma ancor più importante è il modo in cui questi 34,9 miliardi di euro vengono allocati”, ragiona Matteo Villa. Secondo il ricercatore del programma migrazione di ISPI, “è una vera e propria rivoluzione”. Da un lato, gli incrementi maggiori sono quelli per rendere sicuri i confini esterni: un nuovo fondo ad hoc da oltre 9 miliardi per la gestione integrata delle frontiere, e altri 12 per rafforzare sensibilmente l’Agenzia della guardia di frontiera e costiera (già Frontex), facendole toccare quota 10 mila elementi nel 2027.
Dall’altro, cambia la natura del Fami, il Fondo Asilo Migrazione Integrazione, che perdendo la I diventerà Fam e non avrà più come obiettivo l’integrazione dei cittadini stranieri. Per Villa questo “è un segnale politico. Il nuovo fondo, la cui dotazione cresce, si occuperà di tutti gli aspetti amministrativi, gestionali e, diciamo pure, securitari. La maggior parte delle azioni per l’inclusione dei nuovi arrivati, invece, viene spostata nel più ampio capitolo della coesione. L’idea è non realizzare più interventi specifici per i migranti, ma far si che beneficino anche loro delle politiche per la popolazione svantaggiata”. Nello specifico, l’integrazione sul medio e lungo periodo verrà finanziata attingendo al Fondo sociale europeo Plus (Fse +) e al Fondo europeo di sviluppo regionale. Potenzialmente, è una novità positiva, che zittisce i gruppi anti-migranti. Ma potrebbe anche rivelarsi un azzardo”.
“Monitorare quanto effettivamente i migranti beneficino di queste risorse non è facile”, prosegue Villa. “Il rischio è che certi governi li escludano usando cavilli burocratici o dettagli giuridici. Per contro, le risorse stanziate per il controllo delle frontiere sono di gran lunga superiori e assolutamente certe”.
Il pericoloso precedente del Fondo fiduciario
La questione migrazione però non si esaurisce coi fondi interni. C’è anche l’importante capitolo delle politiche esterne, cresciuto del 26 per cento e arrivato a quota 123 miliardi di euro. Tra gli obiettivi per i quali usare questi fondi c’è anche “affrontare le cause profonde dell’immigrazione irregolare”.
“In nome della semplificazione, all’interno del nuovo strumento, che riguarda tutte le priorità esterne alla Ue, tra cui la cooperazione allo sviluppo, sono confluiti 12 strumenti precedenti”, riprende Hooper. Questo faciliterà gestione e coordinamento, ma renderà più complesso raggiungere tutti i diversi obiettivi, che in passato avevano ciascuno i suoi stanziamenti specifici”. La domanda è: quali saranno le priorità? Uno sviluppo sostenibile dei paesi di origine e di transito sul lungo termine o l’immediata riduzione degli arrivi irregolari in Europa?
È un quesito che si pone anche Francesco Petrelli, portavoce per l’Italia del network di Ong Concord. “La quantità delle risorse stanziate è positiva. E anche la semplificazione. Però vanno salvaguardate qualità ed efficacia degli interventi. Il problema è dove, come e secondo quale linee di indirizzo vengono utilizzati i fondi”.
Alcuni mesi fa, Concord ha dedicato un rapporto al Fondo fiduciario europeo per l’Africa , lanciato nel 2015 proprio per “affrontare le cause profonde dell’immigrazione irregolare” e finanziato prevalentemente con fondi di cooperazione allo sviluppo. Il monitoraggio sull’uso dei finanziamenti in Etiopia, Niger e Libia ha portato il network a chiedere un riorientamento di questo nuovo strumento, “sulla base di una nuova comprensione critica dell’esigenza di disarticolare la cooperazione allo sviluppo europea dalle politiche di controllo delle migrazioni”. Quello segnato dal Fondo fiduciario, per Petrelli, è quindi “un precedente pericoloso. Per la prima volta, risorse per la cooperazione allo sviluppo sono state usate per scopi che con lo sviluppo sostenibile non c’entrano nulla. E in futuro potrebbe accadere ancora: siamo preoccupati”.
Quale idea di migrazione?
La situazione però potrebbe cambiare. Nell’arco dei prossimi mesi o, forse, anni, il Quadro finanziario pluriennale 2021-2017 immaginato dalla Commissione sarà oggetto di lunghe e combattute trattative da parte dei singoli stati. Andrà quindi approvato dal Parlamento e adottato dal Consiglio europeo all’unanimità. L’auspicio dell’esecutivo Juncker è che si raggiunga un accordo prima delle elezioni del 2019, ma il timore è che si vada oltre, facendo partire in ritardo i finanziamenti relativi al primo dei sette anni. Ciò nonostante, la proposta in discussione già oggi dice molto di quale sia l’idea del fenomeno migratorio e di come la Ue pensa di affrontarlo.
Villa, per esempio, è rimasto colpito da un’assenza sostanziale: “La migrazione regolare non viene presa in considerazione. So che è di competenza degli stati, ma trovo significativo che non vengano avanzate proposte di rilievo né stanziati fondi. Del resto, il segnale che arriva da questa bozza di bilancio è chiaro: l’impostazione Fortezza Europa non cambia. E non poteva essere altrimenti, viste tutte le volte in cui gli stati membri hanno bocciato le proposte solidaristiche della Commissione, come l’ultima sui ricollocamenti”.
Hooper, invece, fa un passo indietro e si domanda: “a fronte di stanziamenti considerevoli di fondi pubblici, quali risultati saranno considerati un successo? Nel lungo termine questo non è affatto chiaro perché obiettivi come ‘migliorare la gestione dei flussi’ o ‘affrontare le cause profonde’ sono troppo vaghi e onnicomprensivi”. Eppure, quest’ultima frase negli ultimi anni è diventata un mantra ricorrente per molte delle iniziative messe in campo da Bruxelles e dalle capitali Ue per affrontare la cosiddetta emergenza migranti. Il timore è che dietro un’espressione politicamente corretta ci sia solo la volontà di ridurre gli arrivi sul suolo europeo. E che queste cifre diventino, d’ora in poi, l’unico metro di giudizio di ogni scelta politica.
“La mobilità umana”, conclude Petrelli, “è un fattore abilitante di sviluppo. Andrebbe favorita con canali legali e sicuri, dei quali beneficerebbero i paesi di origine, di transito e di arrivo dei migranti. Concetti come questo sono stati sostenuti dall’Unione europea fino a pochi anni fa. Ricordo ancora un documento del semestre italiano di presidenza Ue. Era sul finire del 2014. Poi tutto è cambiato”.