Sono circa 10 mila i richiedenti asilo che ogni anno scappano da persecuzioni basate su orientamento sessuale e identità di genere presentando domanda di protezione internazionale in Europa. Le richieste vengono formulate in virtù della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e del suo Protocollo, e delle direttive europee in materia d’asilo che vanno a formare il Common European Asylum System.
Oggi in 72 paesi essere Lgbti comporta pene che vanno da un mese di carcere alla pena di morte, e il numero di paesi sale se si considerano gli stati in cui, pur non essendoci criminalizzazione, vige un clima di forte omo-bi-transfobia. Come nel resto dei paesi dell’Unione Europea, in Italia è possibile presentare domanda di protezione su questa base.
Chi sono e quanti sono i richiedenti asilo Lgbti in Italia?
L’Italia è uno dei (tanti) paesi europei che non raccoglie dati sui motivi per cui le persone presentano domanda di protezione internazionale – inclusa la base SOGI (acronimo di Sexual Orientation and Gender Identity – cioè orientamento sessuale e identità di genere). Gli unici dati ufficiali sono quelli forniti dal Ministero dell’Interno per il periodo 2005-2008: 54 richieste.
Come emerge dalla sezione italiana del rapporto finale del progetto europeo Epsilon, la crescita degli arrivi a partire dal 2013 ha avuto un impatto – sia nella sostanza che nei numeri – anche sulle richieste presentate da persone Lgbti. Un tempo le persone arrivavano in Italia con la consapevolezza di voler presentare domanda di protezione sulla base del proprio orientamento sessuale e identità di genere dopo aver preso contatto con associazioni italiane dal proprio paese d’origine. Oggi, invece, i migranti tendono a non sapere di poter presentare domanda su questa base.
L’accesso alle informazioni può essere complicato dalla barriera linguistica se mancano i mediatori o se non si conoscono o non esistono termini nella lingua madre equivalenti alla terminologia del mondo Lgbti. Finora, i casi registrati riguardano principalmente uomini omosessuali, più facilitati rispetto alle donne, per le quali le condizioni-socio economiche e le barriere negli spostamenti sono spesso ostacolo per la richiesta di protezione. Anche se in minoranza, non sono mancati casi presentati da donne lesbiche, persone bisessuali e transgender.
Difficile stabilire con precisione i paesi d’origine. Come evidenziato da Unhcr Italia, tra le dieci nazionalità che hanno presentato il maggior numero di richieste nel 2016, otto sono di paesi che hanno legislazioni molto dure verso le persone gay, lesbiche, bisessuali e transgender. In Nigeria, Pakistan, Gambia, Senegal, Eritrea, Bangladesh, Guinea e Ghana, infatti, il rapporto sessuale tra persone dello stesso sesso non è legale e viene perseguito come “atto contro natura”, con pene che vanno dai tre anni all’ergastolo. Inoltre, ci sono richiedenti asilo che giungono in Italia da paesi che sono considerati sicuri per molti ma non per le persone Lgbti, come la Russia. Lì vige una legge che vieta la “propaganda gay” e che, come confermato da una sentenza della Corte Europea, incoraggia omofobia e discriminazione nel paese.
Discriminazioni e stereotipi nelle procedure: l’Italia ne esce bene (ed esporta buone pratiche)
Come abbiamo già visto, nonostante l’impegno ad armonizzare leggi e pratiche in materia d’asilo a livello europeo, non esistono ancora linee guida comuni su come gestire i casi di protezione presentati da minoranze sessuali e di genere. Questo incide in negativo su tutte le fasi della richiesta, dall’arrivo alla ricollocazione. Nel report Fleeing Homophobia si segnalano molti casi di comportamenti che fanno di omo-bi-transfobia, discriminazioni, pregiudizi e assenza di informazioni specifiche sulla vita delle persone Lgbti nel paese d’origine un leitmotiv di moltissime richieste di asilo nella maggior parte dei paesi UE.
Nella mappa Rainbow Europe sul livello di tutela dei diritti Lgbti in Europa pubblicata da ILGA-Europe, l’Italia si classifica 32esima su 49. Eppure, il nostro paese risulta adottare diverse buone pratiche sui casi di protezione SOGI. Come raccontavamo in un precedente articolo, sono diversi gli stati Ue in cui non è sufficiente essere fuggiti da paesi che prevedono la criminalizzazione dell’omosessualità. In alcuni casi, infatti, i richiedenti si sono visti domandare prove di un’applicazione delle leggi (è successo in Austria, Irlanda, Regno Unito) e dell’esistenza di un processo a carico dei richiedenti (è successo in Bulgaria, Spagna, Norvegia).
Una prassi, questa, non seguita dall’Italia. Il nostro paese ha infatti adottato la buona pratica secondo cui l’esistenza di leggi che condannano l’omosessualità è considerata di per sé persecutoria. Una posizione, questa, confermata nel 2012 dalla Corte di Cassazione. Quattro anni dopo, la stessa corte ha accolto il ricorso di un cittadino nigeriano la cui richiesta era stata respinta perché il suo racconto era stato considerato generico e contraddittorio, e quindi non credibile. Gli avvocati del richiedente hanno chiesto di valutare di nuovo la richiesta, perché spetta a chi valuta una domanda aver chiaro il contesto sociale e culturale di provenienza della persona e tenerlo in considerazione.
Come evidenziato dalla relazione conclusiva del Progetto Epsilon, in Italia si è registrato soltanto un caso di applicazione del requisito della discrezionalità, una prassi invece quasi consolidata in altri paesi Ue. E ancora, in Italia non viene richiesto nessun esame medico per determinare orientamento sessuale e identità di genere – mentre come emerge dal rapporto Fleeing Homophobia, in Repubblica Ceca e Slovenia si è perfino ricorso alla pratica degradante del test fallometrico, valutando la presenza di un’erezione durante la proiezione di materiale pornografico.
Nonostante l’adozione di buone pratiche, la percezione che alcune realtà estere hanno dell’Italia come luogo per cercare protezione appare falsata. Jonathan Mastellari dell’associazione bolognese MigraBO LGBTI racconta che la maggior parte dello scetticismo verso l’Italia proviene dal nord Europa e finisce per avere conseguenze sui richiedenti “dublinati”, cioè costretti dal Regolamento di Dublino a fermarsi e a chiedere asilo nel primo paese Ue dove sono arrivati. Associazioni Lgbti+ dei Paesi Bassi, Austria e Finlandia, poco prima dell’invio di un loro assistito in Italia, hanno dimostrato di non conoscere il sistema italiano. Gli interrogativi più frequenti: una volta tornati in Italia saranno senzatetto? Potranno camminare per strada in quanto Lgbti? Possono camminare per strada in quanto arabi? Le persone transgender rischiano la vita? Su questo punto, alle persone transgender dirette in Italia è stato comunicato – erroneamente – che in Italia non è legale fare la transizione. Questo ha già comportato due tentativi di suicidio pre-partenza, essendo i richiedenti molto impauriti dal futuro, dalla sicurezza economica e dall’accesso ai servizi, specie sanitari. Come sottolinea Jonathan Mastellari, una volta arrivate in Italia queste persone non hanno avuto particolari problemi. Un ragazzo proveniente dall’Austria e arrivato in Sicilia ha già ottenuto protezione internazionale.
Questa percezione inesatta conferma che, oltre all’assenza di standard comuni, mancano anche reali canali di comunicazione tra organizzazioni europee che si occupano di asilo e di richieste presentate da minoranze sessuali e di genere.
L’accoglienza delle persone Lgbti in Italia incontra ancora molti ostacoli
In Italia le sfide più grandi riguardano invece la fase successiva alla richiesta di asilo: l’inserimento abitativo, il lavoro e la difficoltà di integrazione con i connazionali presenti in Italia. Di solito, le esperienze sono diverse a seconda di quanto la persona sia riconoscibile come Lgbti. Intervistati dal team di lavoro del progetto Epsilon, diversi richiedenti asilo hanno dichiarato che il modo più sicuro per vivere all’interno dei centri di accoglienza è quello di nascondere la propria identità. Quando questo non è possibile, le persone sono vittime di discriminazione e violenza da cui deriva poi l’isolamento.
“Mi sento solo al mondo come gay e come migrante”
S., richiedente asilo dall’Africa Sub-Sahariana intervistat* dal team del progetto Epsilon.
A differenza di altri paesi in cui esistono centri dedicati esclusivamente all’accoglienza di rifugiati e migranti Lgbti, in Italia non esistono ancora strutture di questo tipo. Spicca però l’attività della cooperativa sociale Caleidos, centro di accoglienza apertamente Lgbti-friendly. In un articolo del 2017, Claudia Torrisi scriveva per Open Migration della paralisi del progetto “Rise the Difference”. Il progetto, che avrebbe dovuto portare all’apertura a Bologna della prima struttura dedicata ai migranti trans*, partirà a breve.
Cresce l’interesse per la tematica (ma anche l’ostilità)
Spesso i servizi rivolti a rifugiati non prendono in considerazione l’essere Lgbti, in alcuni casi compromettendo la stessa richiesta e il benessere dei richiedenti e beneficiari di protezione. Per questo motivo è importante il lavoro di diverse organizzazioni e associazioni che si occupano – su base prevalentemente volontaria – di rifugiati Lgbti in Italia. Questa mappa creata da Io sono Minoranza segnala i principali sportelli che offrono servizi specifici a migranti/richiedenti asilo SOGI. A questa si aggiunge Juma, il portale dei servizi per rifugiati e richiedenti asilo in Italia frutto della collaborazione tra Arci e Unhcr Italia, in cui vengono indicati fra gli altri anche gli sportelli dedicati alle persone Lgbti.
Nonostante l’esistenza di buone pratiche e l’operato di diverse associazioni, in Italia risulta essere ancora scarsa la consapevolezza – sia tra associazioni Lgbti che tra operatori e professionisti che lavorano con richiedenti asilo – di come si possano sostenere in modo efficace le minoranze sessuali e di genere. In questo senso è molto utile il training online elaborato dal progetto europeo Epsilon, nato proprio con lo scopo di colmare il gap di conoscenze dei tanti professionisti e volontari che lavorano con i richiedenti asilo SOGI. Sul loro sito internet è possibile mettersi alla prova con varie lezioni che esplorano le diverse identità Lgbti, i problemi specifici affrontati nel percorso di domanda di protezione internazionale, e nelle quali si condividono buone pratiche sulla creazione di uno spazio inclusivo per i rifugiati SOGI.
Infine, a livello di ricerca accademica la strada è ancora lunga. La letteratura disponibile è infatti scarsissima. Positivo invece il moltiplicarsi di seminari universitari come “Migro perché sono: problematiche e storie dell’immigrazione lgbt”, che si è tenuto all’Università di Bologna.
Ed è proprio una controversia legata all’organizzazione di un altro convegno che ha evidenziato come il diffondersi di politiche anti-immigrazione e un generale clima ostile al riconoscimento dei diritti (o dell’esistenza) delle persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender e intersex abbia ripercussioni anche sui migranti e sui rifugiati Lgbti – potenziali vittime di doppia discriminazione. Il 25 maggio, all’Università di Verona avrebbe infatti dovuto tenersi una giornata di studio su richiedenti asilo, orientamento sessuale e identità di genere. L’incontro è stato subito preso di mira dai neofascisti di CasaPound e Forza Nuova con minacce di contro-iniziative e di bloccare la manifestazione con la forza, accusando l’università di propaganda gender e filo-immigrazionista. Dopo giorni di polemiche il rettore ha deciso di annullare la giornata di studio. Arcigay Verona ha reagito con durezza: “evidentemente queste intimidazioni hanno avuto l’esito sperato”. Una reazione giustificata dal commento di Forza Nuova, la quale si è definita sollevata del congelamento di quella che è stata definita una “pagliacciata”. Nota positiva: alla luce dell’interesse suscitato dal tema, l’evento è stato spostato e si è poi svolto regolarmente raggiungendo le 120 partecipazioni.
Nella nostra serie sui rifugiati Lgbti abbiamo affrontato alcune delle questioni principali legate ai casi SOGI nell’Unione Europea, sottolineando l’assenza di una linea comune nelle pratiche adottate dai diversi paesi. L’importanza di adottare un approccio comune sta nel fatto che i rifugiati Lgbti scappano da persecuzioni basate sulla propria identità e bisogna evitare che incontrino nuove discriminazioni. L’Unione Europea deve essere unita nel garantire una vita libera da quelle paure, facendo valere i diversi trattati e gli impegni presi a livello internazionale. In questa direzione spinge SOGICA, un progetto di ricerca che – prediligendo la Germania, l’Italia e il Regno Unito come casi-studio e analizzando come le richieste di protezione internazionale basate su SOGI sono affrontate a livello europeo – vuole determinare come i sistemi di asilo in Europa possano trattare le domande di questo tipo in modo più equo. In un articolo per Internazionale, Annalisa Camilli ha dato voce alla storia di Max, rifugiato gay in Italia. Scappato dall’intolleranza della Russia, dove l’omosessualità è vista come una perversione occidentale, in Italia Max si è sentito abbastanza al sicuro da dare al proprio compagno un bacio in pubblico. Ed è proprio da qui, da quella sicurezza, che bisogna ripartire, perché ci siano altri dieci, cento, mille di quei baci.
In copertina: l’attivista Wajahat Abbas Kazmi porta la sua testimonianza di persona musulmana omosessuale al Pride di Milano 2017