1. La nuova rotta dei migranti – sotto la neve
“La Lampedusa delle montagne”. Bardonecchia, la cittadina piemontese a 1.312 metri d’altitudine, è diventato un nuovo crocevia per i migranti che cercano di continuare, a tutti i costi, il proprio viaggio verso l’Europa. Qui, da novembre, nonostante il freddo brutale e la neve alta, sono passati in migliaia per tentare la sorte sulla rotta alpina, un sentiero che arriva in Francia dopo sei ore di cammino attraverso il valico del colle della Scala. Il racconto di Annalisa Camilli su Internazionale e quello di Diego Bianchi per Propaganda Live, da accompagnare al reportage di Siegfrid Modola per Reuters.
2. L’inferno senza fine di Calais
Chissà cosa si aspettano i migranti che rischiano la vita per provare la traversata verso la Francia. Sicuramente non quello che troveranno una volta arrivati – perché a Parigi si continua a dormire per strada (come racconta Charlotte Wilkins su France24) e a Calais sgomberi e operazioni di polizia non hanno fatto che peggiorare la situazione: il reportage di Catrin Nye per BBC Two.
3. Morte in alto mare
La rotta del Mediterraneo centrale è la più mortale tratta migratoria al mondo, e migliaia di migranti hanno perso la vita provando ad attraversare quelle acque negli ultimi anni. Ma quella dei 9 morti del 13 aprile 2015 è una storia diversa dalle altre, discusso in un complesso e controverso caso penale – ribattezzato “jihad in mare”. L’approfondimento di Fiona Ehlers per Spiegel fa il punto su una vicenda estremamente intricata.
4. L’Inghilterra che non accoglie
Continua la stretta del Regno Unito sull’immigrazione: il Ministero dell’Interno è arrivato a ordinare alle banche britanniche di mettere in atto controlli serrati sullo status di tutti i detentori di conti bancari (e congelare quelli che risultino intestati a persone non in regola). Intanto non si ferma l’ondata di deportazioni: il Guardian ha raccolto le voci di persone a rischio rimpatrio forzato e raccontato l’assurda storia di Paulette Wilson, chiusa in un centro di detenzione per migranti e minacciata di deportazione dopo oltre 50 anni in Inghilterra, e quella del teenager vietnamita S., arrivato come vittima di tratta nel Regno Unito, tenuto come schiavo per anni in una coltivazione di cannabis e oggi a rischio rimpatrio.
5. Il grosso grasso business del controllo dell’immigrazione in Spagna
La buona notizia è che c’è qualcuno che sta beneficiando dalle politiche sull’immigrazione spagnole. La cattiva notizia è che non sono i migranti o i cittadini iberici. Come dimostra la ricerca di Gonzalo Fanjul per ODI, quello del controllo sull’immigrazione è un business gigantesco (si parla di quasi 900 milioni negli ultimi 10 anni) – che sta arricchendo enormemente solo e soltanto le compagnie che operano nel settore.
Months of investigative analysis by @ODIdev research associate @GonzaloFanjul show the millions of public money going into Spain’s migration control industry. https://t.co/HPSwBzqk7A
— Jessica Hagen-Zanker (@j_hagenzanker) January 11, 2018
6. La sofferenza dei rifugiati Lgbti ceceni
In Cecenia gli omosessuali sono perseguitati, detenuti e uccisi. E anche per chi riesce a fuggire la situazione resta complicata: innanzitutto perché le autorità cecene continuano a perseguitarli, ma anche perché costruirsi una nuova vita ed integrarsi nel paese d’adozione è doppiamente difficile. Lo racconta il reportage di Joanna Kakissis per Npr (da accompagnare ai nostri approfondimenti sui rifugiati Lgbti, tra “doppio stigma” e assenza di una linea comune dell’Unione Europea).
7. L’ultimatum di Israele
Il governo israeliano ha definito i 40,000 migranti africani sul proprio territorio “infiltrati illegali”, e dato loro un ultimatum: tre mesi per lasciare il paese (ricevendo un incentivo di 3500 dollari) o venire incarcerati. Ma molti di loro preferirebbero il carcere al ritorno nel proprio paese d’origine. L’articolo di Peter Beaumont per il Guardian.
8. Tornare in Nigeria
Nell’ultimo periodo sono aumentati i cosiddetti “rimpatri volontari assistiti” dalla Libia, organizzati dall’Agenzia Onu per le migrazioni (Oim). Negli ultimi dodici mesi sono stati oltre 7.000 i cittadini nigeriani riportati a casa – se così la vogliamo chiamare – dall’inferno libico. Ma le prospettive per loro nel proprio paese restano poco incoraggianti, a partire dall’assenza di lavoro. L’articolo di Siobhan O’Grady per il New York Times.
9. Quando le deportazioni uccidono
Centinaia di migliaia di immigrati negli Stati Uniti sono a rischio di violenze e addirittura morte nei propri paesi d’origine. Cosa succede quando sono costretti a tornare nell’inferno da cui volevano scappare? Lo prova a raccontare lo straordinario reportage di Sarah Stillman per il New Yorker. Da accompagnare al focus dell’Economist sull’annuncio del possibile rimpatrio forzato di 200.000 persone verso il Salvador (nella stessa settimana in cui il paese viene dichiarato troppo pericoloso per andarci in vacanza).
10. Cosa sta succedendo ai Rohingya
La situazione in Birmania – dove da mesi è in corso quello che le Nazioni Unite hanno definito “un esempio di scuola di pulizia etnica” (e che forse sarebbe più opportuno chiamare genocidio) verso la minoranza dei Rohingya – continua a peggiorare. È della scorsa settimana la notizia che due giornalisti della Reuters rischiano fino a 14 anni di carcere, secondo un arcaica legge sulla segretezza dei documenti, per aver acquisito “documenti segreti” nel corso della loro attività di reporting sulla questione Rohingya. Un motivo in più per documentarsi quanto più possibile su quello che sta avvenendo nel paese – magari attraverso questo approfondito riepilogo di Irin News.
Foto di copertina: European Commission DG Echo (CC BY-ND 2.0).