1. Mediterraneo, la nave che vuole bloccare i migranti
Obiettivo: fermare i migranti e le Ong che li salvano. È questa la missione di “Generazione identitaria”, gruppo di estrema destra che è sceso in mare “per difendere il Mediterraneo e l’Europa”. Come, esattamente, non è chiaro: ostacolare le missioni di soccorso come anche negare aiuto ai (migranti) naufraghi sarebbe infatti del tutto illegale (perché, lo spiega la guida legale di Cild alla solidarietà in mare). Intanto, ha già fatto scalpore il fermo di armatore ed equipaggio della nave identitaria – con l’accusa di avere a bordi cingalesi irregolari.
Sulla vicenda fanno il punto Rossalyn Warren per The Washington Post e Claudia Torrisi per Valigia Blu.
2. Mediterraneo, il codice di condotta delle Ong e il futuro delle missioni di salvataggio
Intanto, a Roma le Ong che effettuano salvataggi in mare si incontrano con il ministro dell’interno Minniti per discutere del “codice di condotta” che il governo vuole imporre loro (undici punti, tra cui l’obbligo di garantire la presenza di agenti della polizia giudiziaria sulle navi). Qualora il codice non fosse accettato, alle Ong potrebbe essere precluso l’ingresso nei porti italiani – anche se vi sono molti dubbi sulla legittimità di una decisione del genere. Il punto di Lizzie Dearden per The Independent (da accompagnare al nostro riepilogo su ciò che sta cambiando nel Mediterraneo).
Aggiornamento: lunedì 31 luglio è stata la giornata delle prime decisioni sul codice di condotta – con le Ong spaccate. Sì di Save The Children e MOAS, no da Medici Senza Frontiere (qui la lettera con le motivazioni del rifiuto inviata al Ministero) e dalla tedesca Jugend Rettet. L’articolo di Annalisa Camilli per Internazionale.
3. Mediterraneo, quando i soccorsi arrivano tardi
Mentre si discute della nave identitaria e del codice di condotta delle Ong, in mare si continua a morire. A bordo dell’Aquarius, una delle navi impegnate nel salvataggio di migranti nel Mediterraneo centrale, Annalisa Camilli per Internazionale racconta lo strazio delle vite spezzate a largo, quando i soccorsi arrivano tardi.
4. Mediterraneo, c’è una vera risposta alla “crisi migratoria”?
Nel 2017 sono arrivate in Italia via mare 100 mila persone, mentre oltre 2.300 hanno perso la vita durante la disperata traversata. Gli italiani si lamentano di non poter più sopportare tanti sbarchi sulle proprie coste, ma si tratta di situazione di fatto immutata da anni – e quindi viene da chiedersi: perché nessuno ha sinora trovato risposte adeguate? Nello speciale di BBC Radio 4 si parla di come cercare di evitare le morti in mare. Il focus è, grazie all’intervento di Mattia Toaldo, sulla Libia, e sulla giusta strategia da adottare per riuscire a controllare i flussi migratori dall’Africa – che (spoiler) non è affatto quella della cooperazione con la guardia costiera libica. Da accompagnare con la lettura del recente saggio di Toaldo sul controllo (cosa ben diversa dalla chiusura) dei confini.
5. Italia-Francia, l’unica via è il “passo della morte”
Cronache dalla frontiera (chiusa) tra Italia e Francia. Come vi abbiamo raccontato nel primo dei nostri reportage sui morti di confine, sono già 12 in pochi mesi le vite spezzate nei pressi di Ventimiglia: annegati, investiti, precipitati, fulminati, i migranti muoiono qui nel tentativo disperato di attraversare il confine. James Rippingale per Al Jazeera ci porta sul “passo della morte”, la pericolosa scalata che è ormai l’unica via per proseguire il viaggio. Una situazione che pare destinata a peggiorare, ora che la Francia aumenta i posti di blocco e le guardie armate al confine.
6. Francia, la nuova giungla di Calais
E’ bene ripeterlo: gli sgomberi non risolvono le crisi umanitarie, al massimo le spostano un po’ più in là. Un esempio eloquente è quello di Calais, dove – nonostante la grande enfasi sullo “sgombero definitivo” e teatrale di qualche mese fa – i migranti non se ne sono mai andati. Solo che ora la situazione è molto peggiore di prima: Calais è infatti ora – secondo il nuovo rapporto di Human Rights Watch, che denuncia gravi e sistematici abusi sui migranti (minori inclusi) – un vero e proprio “inferno in terra”. L’articolo di Zosia Wasik per il Financial Times e l’editoriale del New York Times (da accompagnare al nostro recente reportage dalla “giungla”).
7. Le città per i rifugiati
Come integrare i rifugiati nelle comunità urbane che li accolgono? Un nuovo studio mette l’accento sulla creazione di relazioni sociali con persone appartenenti a gruppi nazionali/etnici diversi da quello di provenienza. L’articolo di Mimi Kirk per CityLab (da accompagnare al nostro approfondimento sul nuovo paradigma delle città per l’accoglienza).
8. Il calcio per i rifugiati
Immaginate di essere nati e cresciuti in un campo per rifugiati di etnia Rohingya in Bangladesh, non aver mai conosciuto altro status che quello dell’esilio e della precarietà più estrema. Senza nessuna speranza di ritorno, senza nessuna prospettiva di futuro. E con l’unica consolazione di un fangoso campo da calcio in cui rincorrere una palla. Nathan A. Thompson sul New York Times racconta la storia di Mohammed Ismail, che quando gioca a pallone riesce a scordare – almeno per un po’ – la rabbia e la tristezza che lo accompagnano da tutta la vita.
9. Questione di genere: di donne rifugiate e tamponi
C’è una esigenza delle donne rifugiate a cui spesso non si pensa: i prodotti sanitari per i giorni del ciclo mestruale. Eppure tamponi e assorbenti – nonostante ovunque nel mondo viga l’abitudine ridicola di tassarli come “prodotti superflui” – sono una necessità primaria per tutte le donne, e ancora di più per quante sono costrette a una vita in movimento o nei centri di accoglienza. Laura Silver racconta su Buzzfeed UK la storia di una donna e la sua missione per garantire i prodotti sanitari nei centri per rifugiati.
10. La dignità nell’esilio
Se dovete leggere una sola cosa oggi, scegliete l’editoriale di Ece Temelkuran su LitHub.
Una bellissima (e dura) riflessione sulla difficoltà di ritrovare la propria dignità per quei rifugiati ed esiliati che invece noi ci ostiniamo a guardare come vittime, e a contare come numeri.
Foto di copertina: Irish Defence Forces (CC BY 2.0).