1. Morte in alto mare: libici contro Ong, una battaglia navale sulla pelle dei migranti
Succede che una missione di salvataggio a trenta chilometri dalle coste libiche (e quindi in acque internazionali) della Ong tedesca Sea Watch – coordinata dalla centrale di comando della Guardia Costiera italiana – venga violentemente sabotata:, con violenze e minacce, la Guardia Costiera Libica cerca di recuperare più migranti possibili, ostacolando le operazioni di salvataggio dei volontari, ignorando le indicazioni della Guardia Costiera italiana e mettendo a rischio la vita di decine di persone. Un episodio drammatico in cui hanno perso la vita una cinquantina di migranti, e che ha messo a nudo per tutti le terribili conseguenze del pericoloso gioco italiano e europeo in Libia e la barbarie di quella Guardia Costiera libica addestrata e equipaggiata proprio dall’Italia. Da leggere: il resoconto dell’accaduto di Sea Watch (con tanto di video) e l’intervista di Daniele Biella al volontario Gennaro Giudetti, che chiede di poter raccontare l’orrore visto in alto mare al ministro Minniti.
2. Morte in alto mare /2: la strage delle donne
Succede che a Salerno sbarchi una nave spagnola, che a bordo, oltre a trecento migranti salvati, ha anche i corpi senza vita di 26 giovani donne, morte in alto mare. «Una tragedia dell’umanità», secondo il prefetto della città, Salvatore Malfì, che ha lasciato aperta la possibilità di intraprendere indagini per omicidio. Il punto di Gaia Pianigiani e Christine Hauser per il New York Times, il j’accuse di Roberto Saviano su Repubblica e, a margine, il commento di Famiglia Cristiana all’odio in rete che non si ferma nemmeno davanti alla tragedia.
3. Morti di confine: 33.293 nomi da ricordare
Sono migliaia le persone che hanno perso la vita durante la disperata traversata del Mediterraneo o sulle altre pericolose rotte verso l’Europa. Un giornale tedesco, Der Tagesspiegel, ha pubblicato in prima pagina una lista di 33.293 nomi – tanti sono infatti i morti di confine degli ultimi 25 anni (da maggio 1993 a oggi). L’articolo di Mashable che racconta le reazioni alla terribile “Die Liste”. Da accompagnare al nostro reportage in 3 parti sui morti di confine.
A German newspaper has published the names of 33,000 people who have died trying to reach Europe. pic.twitter.com/Y1JFfGBVV2
— Catrin Nye (@CatrinNye) November 9, 2017
4. In fuga dalla Tunisia
Sono 4.500 le persone arrivate in Italia dalla Tunisia nel 2017, di cui 3.000 tra settembre e ottobre. Cosa c’è davvero dietro questo vertiginoso aumento delle partenze dalle coste tunisine? Un approfondimento di Stefano M. Torelli su ECFR spiega perché la Tunisia è ancora un paese d’origine (e non di mero transito) di flussi migratori.
5. Niente casa per i rifugiati a Roma
Roma è l’unica capitale europea senza un piano accoglienza per migranti e rifugiati. E la conseguenza è che centinaia di persone sono abbandonate in condizioni di estrema precarietà – con solo i volontari ad aiutarli, e solo le occupazioni abitative a offrire un tetto sopra la testa. Una situazione che avevamo già raccontato (e continueremo a raccontare) – prima e dopo il violento sgombero di Piazza Indipendenza quest’estate – attraverso i reportage di Eleonora Camilli e che ora viene sviscerata anche nella seconda puntata del reportage di Eric Reidy per Irin News.
6. La lotteria dell’accoglienza in Italia
Un sistema di accoglienza che continua a funzionare in un’ottica puramente emergenziale, e dove l’arbitrarietà fa da padrona – costringendo i richiedenti asilo a una vera e propria lotteria. È questa la denuncia di Oxfam Italia che, nel suo ultimo rapporto La lotteria Italia dell’accoglienza, evidenzia l’arbitrarietà con cui vengono decise le sorti di chi fa richiesta di asilo nel nostro Paese. L’articolo di Ottavia Spaggiari per Vita.
7. L’inverno che arriva, e l’Europa che non è (ancora) pronta
A tre anni di distanza dall’inizio della “crisi dei rifugiati”, e nonostante i milioni investiti, i campi di accoglienza in Europa continuano a non essere equipaggiati per l’inverno e il grande freddo. Si parla della situazione in Grecia nella rassegna quotidiana di Are You Syrious e di quella in Serbia su Balkan Insight.
8. La criminalizzazione della solidarietà in Europa
In Europa si diffondono i crimini di solidarietà, in quella che – ci spiegava Nando Sigona – è una specifica strategia dell’Unione Europea per scoraggiare la società civile. Parte di questo inquietante trend è senz’altro anche la campagna diffamatoria contro le Ong che salvano vite in mare (avviata questa estate dalla Fondazione Gefira e dai cosiddetti “identitari”). A fare il punto sulla situazione arriva un rapporto dell’Institute of Race Relations. L’articolo di Mark Townsend per il Guardian.
9. Dobbiamo davvero (continuare a) parlare dei Rohingya
È un “caso di scuola” di pulizia etnica (parola delle Nazioni Unite), eppure del dramma dei Rohingya, tra Birmania e Bangladesh, si continua a parlare poco. Ecco una selezione di letture essenziali per comprendere la gravità della situazione e cosa c’è dietro l’immobilismo della comunità internazionale:
- Come siamo arrivati fino a qui? La timeline di CNN;
- L’esodo dei Rohingya dalla Birmania e il futuro negato in Bangladesh – il reportage di Al Jazeera 101 East;
- La comunità internazionale aveva giurato “mai più” – ma la promessa non si applica ai Rohingya. L’approfondimento di Max Fisher per il New York Times;
- Perché non lo chiamiamo genocidio (forse per potercene lavare le mani)? L’explainer di Sam Kiley per Sky News.
10. Confini e cambiamento climatico
Non sono “solo” guerre e persecuzioni a costringere le persone alla migrazione, ci spiegava Saskia Sassen qualche tempo fa. Il cambiamento climatico e la conseguente perdita di habitat sono già, e sempre più saranno, causa di sfollamento e flussi migratori – ma noi siamo del tutto impreparati a fornire risposte adeguate a questo fenomeno.
L’approfondimento dell’esperto Reece Jones per Undark fa il punto sulla complessa questione, mentrel’articolo di Fast Company esplora come la Nuova Zelanda stia ripensando il proprio diritto d’asilo per dare protezione a chi fugge da disastri ambientali. Da accompagnare all’editoriale di Rebecca Buxton e Theophilus Kwek sul perché dobbiamo ascoltare *ora* la voce dei “rifugiati climatici”.
Foto di copertina: Pexels (CC0).