I numeri record di imbarcazioni di fortuna, di naufragi e di morti sulla rotta mediterranea centrale non sono imputabili alle organizzazioni che salvano vite in mare, ma sono invece la conseguenza di politiche europee. E’ quello che sostiene il rapporto Blaming the rescuers dei ricercatori di Forensic Oceanography presentato a Roma il 9 giugno. Il rapporto ripercorre in gran parte la cronologia delle accuse alle Ong di questi mesi e le indagini giornalistiche che le hanno smontate che a Open Migration avevamo anticipato – con la ricostruzione di Francesco Floris e Lorenzo Bagnoli, con la mappatura di Giacomo Zandonini delle attività in mare e dei finanziamenti alle Ong, e con il racconto dei fallimentari anni di accordi dell’Italia con la Libia per addestrare la frammentata Guardia Costiera libica, alla luce degli accordi più recenti per fermare i migranti. Ma arricchisce tutto questo con nuovi elementi, dati, mappe e diagrammi.
I ricercatori Lorenzo Pezzani e Charles Heller del Goldsmiths college dell’università di Londra, fondatori del progetto Forensic Oceanography, queste cose le avevano già messe nero su bianco un anno fa nel loro rapporto “Death by rescue”. Adesso tornano sul punto, con lo stesso metodo rigoroso basato sull’analisi dei dati ufficiali, dei tracciati di navigazione e delle mappe oceanografiche del team di ricerca specializzato di Forensic Oceanography, ma coadiuvati anche dalle ricerche sul campo in Libia della giornalista Nancy Porsia e da estese interviste con rappresentanti istituzionali e delle Ong e con persone migranti. Il rapporto confuta gli elementi della controversia uno per uno – per esempio, la narrazione dominante su un presunto parallelismo nel tempo fra il numero di appelli di soccorso dai gommoni ricevuti via satellite dalle Ong e il numero di arrivi e soccorsi compiuti, che invece divergono.
Le conclusioni dimostrano in modo abbastanza stringente che invece di parlare di veri o presunti “pull-factor” (“fattori di attrazione”), si dovrebbe invece ragionare seriamente e a lungo termine sui ben più significativi “fattori di spinta” della migrazione: i conflitti e la povertà disperata nell’area sub-sahariana e le terribili condizioni dei migranti in Libia. Secondo il rapporto, quella che si è sviluppata sulle Ong è una “narrativa tossica” che serve a distogliere l’attenzione dalle vere responsabilità, che sono tutte dei governi europei – prima fra tutte la decisione a tavolino di chiudere a fine ottobre 2014 la missione italiana di ricerca e salvataggio Mare Nostrum, che era nata dopo i drammatici naufragi del 2013, per rimpiazzarla con l’operazione europea Triton – ben più debole e con obbiettivi, mandato, fondi e mezzi più limitati. Una scelta che ha causato un significativo aumento nel numero dei morti nel Mediterraneo, a partire dal tragico naufragio di Lampedusa dell’aprile 2015.
Attacco alle Ong in mare, non c’è niente di vero
Il rapporto dei ricercatori di Forensic Oceanography si concentra su tre punti:
- La smentita del presunto ruolo delle Ong come “fattore di attrazione”. È vero che, come dice l’agenzia europea Frontex, “Il Mediterraneo centrale è diventato la rotta principale dei migranti africani verso l’Europa e per lungo tempo sarà così”, ma questo aumento degli arrivi era già stato registrato nel biennio 2014-2015, quando ancora non c’erano navi delle Ong in mare e persino quando non in quella zona non c’erano proprio missioni di ricerca e soccorso. Insomma: il numero delle persone che attraversano il mare è aumentato, ma prima che le Ong lanciassero le proprie missioni di soccorso, e quindi senza che vi sia nessun nesso di causalità tra i due eventi. I migranti, disperati per le condizioni atroci in cui si trovano in Libia, sono disposti a tutto pur di fuggire e si metterebbero in mare a prescindere dalla presenza di navi di soccorso.
- Confutare la presunta influenza delle Ong sulle pratiche dei criminali, in particolare sul loro utilizzo di imbarcazioni e tattiche sempre più di fortuna. Il fatto che nel Mediterraneo vi siano sempre meno barche di legno e sempre più gommoni, argomenta il rapporto, è casomai influenzato dalla missione europea Eunavfor Med: l’attività di distruzione e sequestro delle imbarcazioni prevista dalla strategia della ambiziosa operazione anti-traffico ha spinto i trafficanti a puntare sui gommoni di fabbricazione cinese. Una situazione peggiorata anche da altri fattori: da un lato, nel contesto della situazione di profonda instabilità in Libia, è emersa una nuova categoria di criminali che si improvvisano trafficanti, senza esperienza ma disposti a tutto pur di guadagnare qualcosa sulla pelle dei migranti disperati. Dall’altro, l’aumento della pericolosità delle traversate è influenzato anche dal comportamento sempre più aggressivo e violento della guardia costiera libica.
- Sfatare il luogo comune che vuole che le Ong siano responsabili della sempre maggiore mortalità sulla rotta migratoria centrale. L’analisi statistica dei dati ufficiali dimostra che è esattamente il contrario: quando nell’area di soccorso sono presenti le navi delle Ong umanitarie, i morti sono di meno.
L’analisi incrociata di tassi di mortalità e presenza di navi Ong che effettuano operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Credit: Forensic Oceanography (analisi statistica: Gian-Andrea Monsch; design: Samaneh Moafi).
Le conclusioni del rapporto Blaming the rescuers
Questo rapporto è stato scritto per sventare una catastrofe incombente: se le Ong venissero costrette a interrompere o ridurre le operazioni, si perderanno molte più vite in mare
(dall’introduzione del rapporto Blaming the rescuers)
La prima conclusione a cui giunge il rapporto è che la manipolazione dei dati oggettivi che vuole isolare le Ong come responsabili di fenomeni complessi, in cui invece è coinvolta prima di loro una pluralità di attori e fattori, fa chiaramente parte di una più ampia strategia di criminalizzazione della solidarietà a fini di deterrenza e distrazione. Il rapporto parla senza mezzi termini di “decontestualizzazione e omissione strategica” che “permettono la ricombinazione di frammenti di informazione altrimenti veri in una argomentazione falsa”.
La seconda conclusione è che finché non ci saranno canali d’accesso legali e sicuri per raggiungere l’Europa, i migranti continueranno a imbarcarsi e quindi ci sarà bisogno di missioni di salvataggio in mare: è la disperazione a spingere i migranti a intraprendere questa rotta mortale, e sarà soltanto dando loro una speranza che si potrà indurli a smettere. Come sostiene anche François Crepeau, Relatore speciale Onu sulle migrazioni, solo agevolando la mobilità delle persone – anziché fare di tutto per comprimerla – si potranno controllare i flussi migratori e far sì che il nostro mare smetta di essere un cimitero.
Per saperne di più:
- I nostri approfondimenti sulle Ong in mare: Cosa c’è dietro l’attacco alle Ong; Come lavorano davvero le Ong in mare; Diario di bordo di una missione di salvataggio.
- I nostri approfondimenti sulla Libia: Tutto quello che c’è da sapere sull’accordo Italia – Libia; Cosa c’è di sbagliato nella strategia italiana di addestrare i libici per fermare i migranti.
Foto di copertina: La nave Iuventa della Ong Jugend Rettet impegnata in missioni SAR durante il weekend di Pasqua 2017 (credit: Moonbird Airborne Operation – Sea Watch). Tutte le immagini contenute nell’articolo sono tratte dal rapporto Blaming the rescuers.