1. Lo scoppio della guerra in Ucraina
Dal 24 febbraio, data dello scoppio della guerra in Ucraina, abbiamo raccontato con particolare attenzione le sorti delle milioni di persone che si sono trovate coinvolte nel conflitto.
Storie di chi ha deciso di scappare dalla violenza, di chi temporeggia, di chi vorrebbe farlo ma subisce discriminazione. Come le tante persone residenti in Ucraina, ma provenienti da Paesi dell’Africa e del Sud dell’Asia che non hanno potuto beneficiare – almeno nelle prime fasi – dell’accoglienza incondizionata destinata ai coetanei ucraini. O come i giovani russi che rifiutano di arruolarsi e fuggono dall’autoritarismo del Governo, senza scordarci della comunità LGBTI+ ucraina stretta nella morsa della guerra.
Uno straordinario racconto collettivo – reso possibile anche dai nostri collaboratori sul campo – che avevamo deciso di raccogliere in un instant book, per offrire un quadro ampio su quanto stava accadendo, su cosa significhi la guerra, sui motivi che in Ucraina, come in altre parti del mondo, spingono le persone a scappare dal proprio paese e su quanto conti la volontà di accogliere. Per seguire oggi i fatti e costruire per il domani una memoria condivisa che ci aiuti a evitare errori già commessi in passato.
2. Un’altra accoglienza è possibile
Lo scoppio della guerra in Ucraina e l’incredibile solidarietà mostrata nei confronti dei profughi ucraini ci mostra come la volontà di accogliere sia decisiva per costruire una politica solidale.
Complessivamente, l’Unhcr stima che in Europa siano presenti quasi sei milioni di rifugiati ucraini. Per il continente si tratta della più grande crisi dei rifugiati dalla Seconda guerra mondiale. Cui l’Unione Europea ha risposto attivando, a inizio marzo, la direttiva 55/2001 sulla protezione temporanea. Una decisione storica.
Senza parlare della Polonia dove, a partire dai primi giorni del conflitto, si sono riversate milioni di persone in fuga dalla violenza, a sorprendere sono state anche le risposte dei singoli Stati.
Come ci raccontava in questo articolo Eleonora Camilli, al confine tra Romania e Ucraina, una politica basata su vie di ingresso regolari, liberalizzazione dei visti e accoglienza diffusa, ha permesso di evitare il verificarsi di una “crisi migratoria” ai confini dell’Unione. Un modello a cui si potrebbe guardare anche altrove.
3. Frontex: il futuro dell’agenzia dopo Leggeri
Dopo inchieste giornalistiche, comitati parlamentari, accuse di cattiva gestione e soprattutto di complicità in violazioni di diritti umani e respingimenti, Fabrice Leggeri aveva rassegnato le sue dimissioni e da fine aprile non è stato più direttore esecutivo di Frontex.
Come sostituto è stato scelto, proprio nei giorni scorsi, l’olandese Hans Leijtens – qui il suo profilo raccontato da Paolo Riva – che trova un’agenzia in fortissima crescita, ma sui cui compiti si addensa più di un dubbio.
4. La regolarizzazione che non c’è
Sulla regolarizzazione straordinaria del maggio 2020, e sulle circa 220.000 domande complessive presentate oltre due anni fa, continuano ad arrivare notizie sconfortanti da parte del ministero dell’Interno.
Nell’ambito del suo lavoro di monitoraggio sull’attuazione della regolarizzazione, la campagna Ero Straniero ha fatto richiesta di accesso agli atti, e dai dati forniti dal Viminale risulta che al 19 ottobre 2022 sono stati effettivamente rilasciati 83.032 permessi di soggiorno, cioè solo il 37,7% del totale delle domande presentate.
Tra le richieste inviate, circa 20mila riguardavano persone di nazionalità ucraina, la prima tra tutte quelle aderenti – a marzo vi raccontavamo le difficoltà a lasciare l’Italia senza rischiare di vedersi rigettata la pratica.
5. Il Governo Meloni e una nuova stagioni di porti chiusi
In questi giorni sta circolando molto la notizia che vorrebbe il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi allo studio di un nuovo codice di comportamento per le Ong, che verrebbe varato probabilmente dopo Natale, al massimo nei primi giorni del prossimo anno.
Come raccontavamo nella Web Review del 20 dicembre, dovrebbero essere due le principali novità: i soccorritori dovranno chiedere alle persone messe in salvo appena salite a bordo, la manifestazione di interesse sull’eventuale domanda di protezione internazionale. La seconda novità riguarderebbe invece le modalità in caso di intervento in area Sar. I soccorritori dovrebbero, secondo le anticipazioni, chiedere immediatamente un porto di sbarco, “verso il quale la nave sarà tenuta a dirigersi immediatamente dopo il salvataggio, senza restare giorni in mare in attesa di altri possibili soccorsi” e senza la possibilità di trasbordare i soccorsi da un’unità navale all’altra.
Dopo la vittoria elettorale, la scelta di Guido Crosetto alla Difesa, Matteo Salvini alle Infrastrutture e Matteo Piantedosi agli Interni aveva lasciato intendere che la possibilità di una nuova stretta sulle migrazioni non fosse così remota. In attesa di capire se davvero si arriverà a un nuovo codice di condotta, resta il comportamento messo in campo finora dall’esecutivo sul salvataggio in mare.
Esemplificativo il caso delle navi Ocean Viking di Sos Méditerranée, Geo Barents di Medici senza frontiere (Msf) e Humanity 1 di Sos Humanity, bloccate nei primi giorni di Governo Meloni grazie a vecchi e nuovi adagi della guerra ai soccorsi in mare: la politica dei “porti chiusi” e l’imposizione di “sbarchi selettivi”. In questo articolo di Claudia Torrisi ripercorrevamo quanto accaduto in quelle ore, mentre con Lorenzo Di Stasi abbiamo raccontato come la scelta di “andare allo scontro in Europa” finora non abbia portato i frutti sperati.
6. Un altro anno di diritti negati
Nell’ultima Relazione al Parlamento, presentata alle Camere il 20 giugno, il Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale aveva evidenziato le numerose criticità che colpiscono coloro che sono trattenuti in strutture detentive.
Tra questi ci sono migliaia di persone migranti i cui diritti alla libertà personale e alla libertà di movimento vengono costantemente violati in strutture di detenzione e di trattenimento quali le navi quarantena, i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (Cpr) e gli hotspot, luoghi dove il tempo risulta “sospeso”.
Grande attenzione è posta nei riguardi dei Cpr – al centro anche del report della Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili, Buchi Neri – dove “5.147 persone hanno trascorso parte della loro vita” e meno della metà è stata effettivamente rimpatriata (ossia 3.420 persone di nazionalità, in ordine, tunisina, albanese, egiziana, georgiana e nigeriana).
“Ciò dimostra anche che guardando al solo scopo per cui questi Centri sono stati creati, ovvero il rimpatrio, la privazione della libertà delle persone non garantisce maggiore efficacia”.
7. La criminalizzazione delle persone straniere nei media
Il tipo di narrazione adottata dalle testate giornalistiche mainstream, quando si parla di immigrazione e persone straniere, è spesso di tipo emergenziale o di criminalizzazione. Questo modo di raccontare i fatti ha un impatto reale sui lettori che a loro volta potrebbero adottare comportamenti ostili nei confronti delle persone immigrate. Alcuni ricercatori dell’Università di Leuven, nell’ambito del progetto HumMingbird – al quale anche noi di Open Migration partecipiamo – hanno analizzato queste dinamiche. Lo raccontiamo in questo articolo.
Di narrazione “emergenziale” delle migrazioni e degli stereotipi e del razzismo che ancora colpiscono le persone straniere in Italia tratta anche il libro “Ospitalità Mediatica. Le migrazioni nel discorso pubblico” di Pierluigi Musarò e Paola Parmiggiani. Con Musarò, professore di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso l’Università di Bologna abbiamo avuto modo di conversare in questa intervista di Oiza Q, Obasuyi.
L’incitamento all’odio, invece, costituisce una delle minacce più gravi alla convivenza nell’Unione Europea. Sulla base di questa premessa, i ricercatori e le ricercatrici dell’Università di Salamanca – Carlos Arcila-Calderòn, Patricia Sànchez-Holgado, Cristina Quintana-Moreno, Javier-J. Amores e David Blanco-Herrero – hanno dimostrato che la presenza di messaggi xenofobi sui social media può essere utilizzata per prevedere l’opinione pubblica e gli atteggiamenti di accettazione dei cittadini nei confronti delle persone immigrate in Europa. Ne abbiamo parlato con uno dei ricercatori David Blanco-Herrero.
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Torniamo il 9 Gennaio con la nostra Wev Review settimanale.
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