La Libia è stata per molti anni luogo naturale di immigrazione e lavoro per tanti migranti africani. Ma nel caos politico del dopo-rivoluzione, e con tanti interessi europei sul campo e residui di colonialismo, trafficare migranti è presto diventato un business redditizio come un altro.
1. Le prime testimonianze dall’inferno senza uscita
Per chi arriva dagli altri paesi africani, la Libia è diventata una prigione, un passaggio obbligato e da molti descritto come “infernale”, dal quale si può uscire solo pagando ancora per tentare di raggiungere l’Europa. Sono decine di migliaia, oggi, le persone detenute nei campi libici, e i corridoi umanitari che sono stati predisposti riescono a gestirne solo poche centinaia alla volta. A Natale del 2016, uno dei nostri primi approfondimenti a toccare la questione delle violenze subite dai migranti nei campi di detenzione in Libia poggiava sulle testimonianze di alcuni minori – arrivati in Italia da Gambia, Ghana, Mali, Nigeria, Nuova Guinea, Senegal e Bangladesh – raccolte per noi da Sara Manisera in un centro di prima accoglienza a Reggio Calabria.
Qui uno dei ragazzi intervistati, di nome Muaffak, racconta una storia poi suffragata nel corso dei mesi da migliaia di altre testimonianze e dal monitoraggio delle Ong (dove possibile) nei campi di detenzione: “Se sei nero, rischi che ti sparino o di essere rapito. Se ti va bene, ti mettono in una specie di prigione, ti obbligano a chiamare la famiglia per pagare un riscatto. Se la tua famiglia non paga, ti lasciano lì oppure ti rivendono a qualcun altro. Non sai quando potrai tornare ad essere libero”.
2. I giuristi condannano il Memorandum d’Intesa di Minniti
A dicembre 2016 Marco Minniti diventa Ministro dell’Interno. A febbraio 2017, ecco il suo primo passo politico per fermare il flusso di migranti in arrivo dalla Libia: il Memorandum d’Intesa – sottoscritto dal Presidente del Consiglio Gentiloni insieme ad al Serraj (che rappresenta soltanto il governo di una parte di Libia, riconosciuto dall’Onu) – è di fatto l’inizio dell’esternalizzazione alla Libia dei controlli di confine italiani in mare. Ai giuristi appare subito chiaro che l’accordo contiene molti punti critici, e ad aprile li analizza per noi Francesca Romana Genoviva.
3. L’addestramento della Guardia costiera libica, che non ha funzionato nemmeno in passato
Gli aiuti finanziari italiani di cui parla l’accordo sono in gran parte destinati a mezzi e addestramento per la Guardia costiera libica, o, come vedremo, una delle Guardie costiere libiche. Non solo non si tratta di una collaborazione nuova, ma si era già dimostrata fallimentare in passato. In mare si ripetono manifestazioni di aggressività da parte di mezzi libici. La notte del 23 maggio 2017 il capitano della Iuventa, la nave dell’Ong tedesca Jugend Rettet, denuncia una nuova aggressione in mare da parte di un motoscafo libico, il cui equipaggio avrebbe sparato verso alcune imbarcazioni sovraccariche di profughi, per poi riportare due delle imbarcazioni verso la Libia. Il giorno dopo, Francesco Floris ricostruisce per noi nei dettagli la storia dell’addestramento italiano dei libici e i suoi precedenti, mai andati a buon fine.
4. Dal “codice di condotta” alla proposta degli hotspot in Libia
Nell’estate del 2017, una campagna denigratoria nei confronti delle Ong che coadiuvano la Guardia costiera italiana nel soccorso in mare – campagna inaugurata dalle dichiarazioni del Procuratore di Catania Carmelo Zuccaro prima che fosse aperto alcun fascicolo – rovescia completamente l’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana, la stessa che nel 2013 aveva salutato con grande solidarietà l’inaugurazione dell’operazione Mare Nostrum. In parallelo, fra aprile e agosto del 2017 l’accordo fra Italia e Libia stravolge lo scenario nel Mediterraneo. In questo sommario del 28 luglio 2017 vi raccontavamo quali fossero le cose nuove da sapere, fra le quali l’annuncio della Francia di voler aprire degli hotspot direttamente in Libia, la presenza di navi militari italiane in acque libiche, e le continue morti in mare mentre si imponeva alle Ong, da sempre coordinate dalla Guardia Costiera italiana, un cosiddetto “codice di condotta”.
5. La Libia annuncia unilateralmente la creazione della propria Sar
Il 10 agosto 2017, la Marina libica, per voce del generale Abdelhakim Bouhaliya, comandante della base navale di Tripoli di Abu Sitta, annuncia di voler allargare il divieto di ingresso alle Ong di decine di chilometri oltre le canoniche 12 miglia nautiche nazionali, quindi in acque internazionali, istituendo una propria zona di “Search and rescue” per intercettare e riportare i migranti in Libia. Si presume si tratti del ripristino della zona Sar imposta a suo tempo da Muammar Gheddafi – una decisione unilaterale la cui legalità è dubbia. La Guardia Costiera italiana chiede alle Ong di arretrare le operazioni per la loro sicurezza.
Nancy Porsia è stata la prima giornalista a ricostruire le figure dei trafficanti libici più coinvolti nel traffico di persone, a denunciarne i legami con quella stessa Guardia Costiera libica con cui l’Italia stava facendo accordi, e a raccontare dalla Libia la complessità dell’impatto dei fondi europei e italiani su uno scenario polverizzato in fazioni e afflitto – nonostante l’abbondanza di risorse – da una disperante povertà. Il giorno dopo l’annuncio di Tripoli, le abbiamo chiesto di rispondere a quattro domande per noi cruciali.
6. Zuwara ferma gli scafisti
La società civile libica, nonostante la durissima situazione sul campo, non resta a guardare. La città di Zuwara, che dal 2015 trova sulle proprie spiagge cadaveri di persone annegate, riesce a mettere un blocco agli scafisti e alle partenze per mare. Il 4 settembre 2o17 Marta Bellingreri ci racconta i suoi incontri con gli attivisti e le istituzioni della città.
7. Dal 1911 fino ai trafficanti che diventano guardiacoste
Quella parte della Guardia costiera libica che l’Italia paga per addestrare – lo riconosce ad agosto anche l’Onu – ha legami dimostrati con gli stessi trafficanti che si fanno pagare dai migranti per metterli sui gommoni. Il 7 settembre 2017 Lorenzo Bagnoli ricostruisce lo scenario libico. Lo stesso scenario viene ampliato il 12 0ttobre da Daniel Howden in un reportage per Refugees Deeply – “Priorità europee, realtà libiche” – di cui pubblichiamo un estratto in italiano.
8. Arrivati i fondi italiani, le rotte non fanno che spostarsi
Uno degli effetti più evidenti dell’iniezione di fondi in Libia per fermare i migranti è che i trafficanti si riorganizzano e le rotte semplicemente cambiano, si adattano e si spostano. Da quando è stato siglato l’accordo fra Italia e governo al Serraj nell’estate del 2017, per esempio, i tunisini si sono creati una rotta alternativa per raggiungere l’Italia – il 15 novembre Giulia Bertoluzzi ce lo racconta da lì, dove incontra magistrati, studiosi, pescatori, e alcuni sopravvissuti del naufragio dell’8 ottobre.
9. I fondi della cooperazione usati per fermare i migranti
Sempre più spesso, i fondi europei destinati alla cooperazione, e in particolare il Fondo Fiduciario per l’Africa, vengono dirottati sull’obiettivo dichiarato di bloccare i migranti nei paesi di transito prima che raggiungano l’Europa – fra questi, Libia e Niger. Imprimere questa direzione al Fondo Fiduciario è una pratica complessa, e a spiegarcela è Michele Luppi il 7 dicembre 2017.
10. Accordi che saltano e nuovi combattimenti: Libia sempre più instabile
Giunti a Natale del 2017, lo scenario in Libia è sempre più instabile – dal mistero della nuova zona di ricerca e soccorso proclamata dai libici fino ai rispettivi, ambigui ruoli di Viminale e Farnesina; dai faticosi accordi con le tribù del Sud alle Ong che si rifiutano di cooperare con i campi di detenzione libici: Lorenzo Bagnoli ricostruisce lo scenario con fonti e documenti esclusivi a quattro mesi dall’inizio dell’accordo economico con l’Italia.
11. La battaglia di Sabrata vista dai migranti
Una delle manifestazioni più evidenti dell’instabilità libica, e del suo acuirsi con l’ingresso dei fondi italiani, è stata fra settembre e ottobre 2017 la violenta “battaglia di Sabrata”, che ha rotto la tregua fra le milizie locali. Il 10 gennaio 2018 Marta Bellingreri ricostruisce per noi le ragioni della battaglia e la sua corrispondenza di quelle settimane con un piccolo gruppo di migranti marocchini intrappolati a Sabrata dai combattimenti.
12. Libia e Niger nuove frontiere europee
Il paese di transito dove in assoluto le decisioni europee per bloccare il flusso di migranti dalla Libia provocano le trasformazioni più traumatiche è il Niger, da dove Giacomo Zandonini scrive per noi una trilogia che si conclude il 5 aprile 2018 con questo ritratto del paese come nuova frontiera europea.
13. Il ricorso a Strasburgo per il naufragio del 6 novembre
Il 6 novembre 2017, Sea Watch aveva denunciato un pericoloso incontro in mare durante un salvataggio con un’aggressiva unità della Guardia costiera libica, il cui comportamento avrebbe provocato la morte in mare di decine di persone. Dopo averle caricate a bordo con la forza, i guardiacoste libici ne avevano riportate altre 47 nei campi di detenzione in Libia. Alcuni parenti delle vittime hanno poi deciso di fare ricorso contro l’Italia presso la corte europea di Strasburgo. Il nostro paese è di fatto accusato di delegare alla Guardia costiera libica il compito di effettuare respingimenti che sono vietati dalle convenzioni internazionali. Il 9 maggio 2018 Claudia Torrisi ricostruisce per noi come si è arrivati al processo e cosa hanno scoperto su quell’incidente in mare i ricercatori di Forensic Oceanography.
14. Esternalizzare le frontiere arricchisce le aziende militari
Se i fondi per la cooperazione vengono usati per finanziare il blocco dei migranti prima che raggiungano l’Europa, attraverso addestramenti, infrastrutture, forniture militari e sistemi di controllo, chi è che ne beneficia più di tutti? L’8 giugno 2018, Sara Prestianni ci racconta dei produttori di armi e di sicurezza biometrica.
15. I guardiacoste libici a cui l’Italia delega i respingimenti sono indagati in Sicilia per traffico di carburante
L’uccisione a Malta di Daphne Caruana Galizia, una giornalista investigativa che stava documentando la corruzione del suo governo, mette al lavoro sotto il nome di Daphne Project decine di reporter internazionali per proseguire la sua opera. Una delle piste che Daphne seguiva era quella del traffico clandestino di carburante nel Mediterraneo, monitorato anche dai magistrati siciliani. Il 23 maggio 2018, Lorenzo Bagnoli, Cecilia Anesi e Giulio Rubino di Irpi ricostruiscono per noi che gli stessi guardiacoste di Zawiya a cui l’Italia delega il respingimento dei migranti sono coinvolti nel traffico clandestino di diesel che i magistrati italiani indagano (e che sottrae risorse vitali alla Libia).
16. Themis, la nuova missione di Frontex, ora a disposizione di Matteo Salvini
Il 13 giugno, Lorenzo Bagnoli racconta – insieme ad Andrea Palladino che per primo ha documentato il legame fra il nuovo comando marittimo di Tripoli e la Marina militare italiana – che cos’è la nuova missione Themis della guardia di frontiera europea Frontex, da poco in mano al nuovo Ministro dell’Interno Matteo Salvini.
17. Nelle mani della Guardia costiera libica si muore di più
Intanto, a fronte di un drastico calo negli arrivi dalla Libia rispetto al 2017, dai dati che ci ha comunicato Iom Libia emerge che si muore in proporzione di più, e sotto la nuova responsabilità della Guardia costiera libica. Subito dopo l’uscita di questa analisi realizzata per noi da Laura Clarke il 28 giugno, alla Libia viene ufficialmente riconosciuta la sua zona Sar esclusiva di ricerca e soccorso, e avvengono tre nuovi naufragi in pochi giorni.
18. I trafficanti libici sanzionati dall’Onu cambiano alleanze
Il 4 luglio 2018, Nancy Porsia torna sui trafficanti libici che aveva identificato e che oggi, su proposta dell’Olanda, sono colpiti per la prima volta da sanzioni individuali dell’Onu. Il suo articolo ci spiega come si stanno riposizionando in attesa che passi la tempesta, mentre il denaro italiano in Libia continua a influire sui cambi di alleanze.